L’uomo aveva ammesso di aver drogato, stuprato e fatto stuprare la moglie Gisèle per quasi dieci anni. Il caso, svelato nel 2023 da Le Monde, ha avuto risonanza planetaria: la donna, oggi settantenne, è stata abusata in casa propria almeno duecento volte, mentre era in stato di incoscienza, da almeno settanta uomini complici del marito, 50 dei quali (tra i 26 e i 74 anni d’età) sono a processo insieme a lui, mentre una ventina non sono stati ancora identificati.
Vent’anni è il massimo della pena prevista dalla legge francese per il reato di stupro aggravato contestato agli imputati: “È al tempo stesso molto, perché si tratta di vent’anni di una vita, e quale che sia l’età non è poco. Ma è anche troppo poco rispetto alla gravità dei fatti che sono stati commessi e ripetuti”, aveva detto in aula una dei pm, Laure Chabaud. Rivolgendosi alla vittima, il procuratore Jean-François Mayet ha lodato il suo coraggio e sottolineato la necessità di “un lungo percorso per far sì che la nostra società cambi la sua visione della cultura dello stupro“.
Dal 2011 al 2020 il marito-stupratore ha mescolato benzodiazepine al cibo e alle bevande della moglie, invitando uomini conosciuti online a violentare la consorte mentre era incosciente e immortalando gli abusi con foto e video (ne sono state trovate circa ventimila, catalogate con cura su hard disk, chiavette e dispositivi elettronici).Parlando nel corso di una precedente udienza, il 72enne si è autodefinito “un violentatore“: “Sono colpevole di quello che ho fatto, ho rovinato tutto, ho perso tutto. Devo pagare” aveva detto. Per la sua avvocata, Béatrice Zavarro, la richiesta dell’accusa è adeguata “in considerazione della gravità dei fatti e della serietà degli atti di cui è accusato”. Gisèle Pelicot ha voluto che il giudizio si svolgesse alla presenza del pubblico, nonostante la scabrosità dei racconti e delle immagini mostrate in aula: “Volevo che tutte le donne vittime di violenze si dicano. “Se Gisèle Pelicot l’ha fatto, possiamo farlo anche noi“. Non voglio più che se ne vergognino. La vergogna non dobbiamo provarla noi, ma loro”.