Un’intera pagina pubblicitaria su un importante quotidiano nazionale recita: “Reagisci agli aggressivi CBRN prenotando il kit individuale”, con un prezzo di 1.200 euro e istruzioni per l’acquisto via email. Sul web, le offerte abbondano: “Kit completo per protezione nucleare, chimica e batteriologica: maschera antigas, filtri, tuta integrale, guanti e calzari. Solo 305 euro, tasse incluse”. Su piattaforme di e-commerce, un “Kit personalizzato per sopravvivenza di 72 ore” parte da 258,50 euro nella versione base, per arrivare a oltre 2.200 euro nella configurazione premium, con materiali avanzati e autorespiratori.
La paura, si sa, vende. E le aziende che operano in questo settore lo sanno bene. Durante la pandemia di COVID-19, abbiamo assistito a un fenomeno simile: mascherine, disinfettanti e dispositivi di protezione personale venivano venduti a prezzi esorbitanti, spesso con standard di qualità discutibili. Oggi, la paura degli attacchi NCB ha creato un nuovo mercato, destinato a crescere. Le aziende utilizzano strategie di marketing aggressive, sottolineando la necessità di essere pronti a tutto. Frasi come “Oltre 200 visualizzazioni nelle ultime 24 ore” o “Proteggi la tua famiglia oggi” sembrano fornire un rimedio a minacce sempre più percepite come imminenti, sfruttando la preoccupazione e l’incertezza per spingere i consumatori a fare acquisti impulsivi.
Ma cosa compriamo davvero quando spendiamo cifre esorbitanti per “sentirci pronti”? E, soprattutto, a chi conviene farci credere che siamo sempre sull’orlo di un disastro?
Il mercato dei kit di sopravvivenza per attacchi nucleari, chimici e batteriologici (NCB) non è più un fenomeno di nicchia. Alimentato da tensioni geopolitiche, conflitti crescenti e timori legati a nuove pandemie, si sta trasformando in un’industria in forte crescita. Prodotti che un tempo erano appannaggio esclusivo dei militari o dei professionisti del settore, come tute protettive, maschere antigas e razioni alimentari a lunga conservazione, sono ora offerti direttamente al grande pubblico. La promessa è chiara: garantire la sopravvivenza in caso di attacchi nucleari, chimici e batteriologici con prodotti che includono spesso tute protettive realizzate con materiali ad alta tecnologia, guanti saldati, calzari impermeabili, stivali e, in alcuni casi, autorespiratori.
Un esempio di prodotto di punta è un modello che utilizza il tessuto Chemprotex™400, un materiale multistrato innovativo progettato per offrire una barriera efficace contro agenti chimici e biologici. Offerte che però presentano diverse criticità che ne compromettono la trasparenza e l’affidabilità. Uno dei principali problemi riguarda la scarsa chiarezza dei dettagli tecnici: molte informazioni sui prodotti sono incomplete, complesse o poco comprensibili per i consumatori. Questo rende difficile, se non impossibile, valutare l’effettiva efficacia delle soluzioni proposte, lasciando i potenziali acquirenti nell’incertezza su ciò che stanno acquistando.
Inoltre, l’assenza di parametri chiari impedisce ai consumatori di determinare se il prezzo di un prodotto sia giustificato dalla sua qualità e funzionalità.
Un esperto di protezione civile, da noi contattato e che ha preferito rimanere anonimo, sottolinea un aspetto fondamentale: “Questi prodotti, per quanto potrebbero essere ben costruiti, risultano inefficaci senza un addestramento adeguato. Indossare correttamente una tuta protettiva, sigillare i guanti o utilizzare un autorespiratore in un ambiente contaminato sono operazioni che richiedono pratica ed esperienza. Non si tratta di competenze che si possano improvvisare in un momento di emergenza. È necessario frequentare corsi specifici, continuamente aggiornati, con un modulo base che può durare anche un mese. Inoltre, è fondamentale conoscere i tempi e le modalità corrette per indossare questi dispositivi in caso di contaminazione.
Anche le compresse di ioduro di potassio, spesso incluse nei kit, sono frequentemente fraintese. Sebbene siano utili per proteggere la tiroide in caso di esposizione a radiazioni, risultano totalmente inefficaci contro agenti chimici o biologici. Molti consumatori, spinti dalla paura, rischiano di acquistare kit inadeguati o di non sapere come utilizzarli correttamente, compromettendo così la propria sicurezza.”
Un segmento significativo degli acquirenti è rappresentato dai cosiddetti “preppers”, un fenomeno nato negli Stati Uniti. I preppers sono persone che si preparano attivamente per affrontare scenari apocalittici, come catastrofi naturali, pandemie o conflitti nucleari. In Europa, invece, la crescita del mercato è stata fortemente influenzata dal conflitto in Ucraina. Molti governi hanno persino raccomandato ai cittadini di accumulare scorte di cibo e acqua per almeno dieci giorni, alimentando una sensazione di urgenza che ha spinto molte persone a cercare soluzioni rapide per proteggersi.
Ma gli acquirenti non sono solo individui ossessionati dalla fine del mondo. Ci sono famiglie che vogliono sentirsi più sicure, giovani preoccupati per il futuro e persino piccoli imprenditori che investono in questi kit per proteggere i propri dipendenti. Un elemento comune a tutti, però, è la percezione di insicurezza. L’acquisto di un kit di sopravvivenza non è solo una scelta pratica, ma anche psicologica: dà l’illusione di essere preparati.