Addio a Ferdinando Pomarici, il magistrato che da sempre è stato in prima linea in Procura a Milano nella lotta alla mafia e al terrorismo. In pensione da nove anni Pomarici, per gli amici “Enrico”, si è spento nelle scorse ore. Per oltre 40 anni ha indossato la toga del pubblico ministero occupandosi delle indagini che hanno tracciato la storia del Paese. Arrivato nel capoluogo lombardo nel ’76 come sostituto procuratore, fin da subito si occupò di casi molto delicati, ossia i sequestri di persona e fu il primo in Italia ad applicare il blocco dei beni in modo da impedire alle famiglie di pagare il riscatto. Poi arrivarono gli anni di piombo con l’impegno nell’antiterrorismo con la scoperta, tra l’altro, del “covo” di via Monte Nevoso, la base della colonna Walter Alasia, che venne azzerata, ed anche il peso delle polemiche politiche successive, quando molto dopo da un’intercapedine nel muro vennero ritrovate carte inedite del sequestro Moro.
In più si occupò dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi e poi, come responsabile della Dda della criminalità organizzata trapiantata al Nord, fino all’ultima indagine ‘difficile’, coordinata insieme ad Armando Spataro – che stamane lo ha ricordato come “un fratello maggiore” – sul sequestro dell’imam Abu Omar da parte di uomini Cia e Sismi. Da sempre ritenuto una persona schiva e schietta, ferma e irreprensibile, come ultimo incarico prima di lasciare il quarto piano del Palazzo di Giustizia, Pomarici ha diretto l’ufficio esecuzione della Procura, settore complicato e fondamentale. Con lui se ne va un magistrato molto stimato e anche un grande sportivo, con la passione del calcio, del tennis e dello sci.
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