Inizia lentamente a delinearsi quello che sarà il futuro rapporto tra Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan. Lunedì, in conferenza stampa, il presidente americano in pectore ha parlato della caduta di Bashar al Assad, sostenendo che “la Turchia avrà la chiave per la Siria”. “Quelle persone che sono entrate sono controllate dalla Turchia”, ha detto, riferendosi agli insorti. “Erdogan è qualcuno con cui andavo molto d'accordo, ma ha una forza militare importante. E la sua non è stata logorata dalla guerra. Ha costruito un esercito molto forte e potente”, ha proseguito. “Nessuno sa quale sarà l'esito finale nella regione. Nessuno sa chi governerà alla fine. Credo che sarà la Turchia. La Turchia è molto intelligente, è un tipo molto intelligente ed è molto duro. La Turchia ha fatto un'acquisizione ostile senza perdere molte vite”, ha aggiunto.
Insomma, Trump si avvia a riconoscere di fatto Erdogan come l’interlocutore privilegiato sul dossier siriano. D’altronde, non è un mistero che l’offensiva che ha portato alla caduta di Assad sia stata in gran parte spalleggiata da Ankara e da Doha. È in questo quadro che, nel pieno della transizione presidenziale statunitense, il sultano sta cercando di ritagliarsi un ruolo di mediatore in varie crisi internazionali. È riuscito innanzitutto a favorire una distensione tra Somalia ed Etiopia nel Corno d’Africa. Inoltre si è proposto come mediatore anche tra Sudan ed Emirati arabi: due Paesi che, ricordiamolo, sono stati coinvolti negli Accordi di Abramo. Infine, ma non meno importante, Erdogan vuole tornare a giocare un ruolo cruciale nella mediazione diplomatica tra Kiev e Mosca. In altre parole, il presidente turco punta a presentarsi come un interlocutore ineludibile per il nuovo inquilino della Casa Bianca. E le parole pronunciate da Trump lunedì sembrano confermare, almeno per ora, il successo di quest’ambizione.
Tuttavia attenzione. È senz’altro vero che potrebbero registrarsi vari fronti di convergenza tra Erdogan e il presidente americano in pectore. Dall’altra parte, però, si registrano anche ambiti di potenziale attrito. Ricordiamo infatti che, assieme al Qatar, la Turchia è il principale sponsor della Fratellanza musulmana. Quella Fratellanza rispetto a cui, durante il primo mandato, Trump si è mostrato tutt’altro che tenero. Senza trascurare che i governi di Arabia Saudita ed Emirati la temono fortemente. La sfida per Trump sarà quindi quella di trovare un equilibrio tra il rapporto con Erdogan e il rilancio degli Accordi di Abramo. Riuscirà il prossimo presidente americano a cooptare il sultano in queste intese? E, se sì, a che prezzo?