Alla fine il sangue si è sciolto: il miracolo di San Gennaro si è ripetuto anche in questo 16 dicembre, sebbene dopo aver tenuto per parecchie ore i fedeli col fiato sospeso. La liquefazione è avvenuta alle 17.43, poco prima della messa delle 18.30 e quando ormai sembrava che molti avessero perso le speranze. L’annuncio di monsignor Vincenzo De Gregorio, abate della cappella del Tesoro di San Gennaro in cui è custodita la reliquia, è stato accolto dall’applauso dei fedeli, che fin dalla mattinata erano in attesa.
“Come è uscito così è rimasto. Non c’è niente che ci fa pensare a uno scioglimento prossimo”, aveva detto don De Gregorio durante la precedente esposizione della teca, terminata alle 12.30, gelando i fedeli e aumentandone le preghiere. Il sangue è stato poi esposto nuovamente alle 16. Alle 16.45 nella cappella era arrivato l’Arcivescovo di Napoli, cardinale Domenico Battaglia, che ha baciato la teca con la reliquia.
Quello di dicembre è il terzo “miracolo” dell’anno, detto anche “miracolo laico” perché si celebra nella data che ricorda l’eruzione del Vesuvio del 1631 in cui i napoletani chiesero e ottennero l’intervento di San Gennaro per scongiurare la distruzione della città. La cerimonia chiude una trilogia della fede che ogni anno si ripete il primo sabato di maggio, quando si ricorda la traslazione delle reliquie, e il 19 settembre, in cui si celebra San Gennaro.
Il mancato scioglimento del sangue è considerato annuncio di sciagure, per questo, oltre alla devozione, il rito è seguito con tanta attesa. E, d’altra parte, gli anni dell’era contemporanea in cui il miracolo non avvenne furono segnati da eventi straordinari e drammatici: il sangue non si sciolse il 16 dicembre 2020, quando l’Italia e il mondo erano in piena pandemia da Covid; nella stessa data del 2016, pochi mesi prima del terremoto che devastò Ischia e dei terribili incendi che mandarono in fumo ettari del parco nazionale del Vesuvio; nel 1980, anno del terribile terremoto dell’Irpinia; nel 1973, anno dell’epidemia di colera; nel 1943, quando Napoli era occupata dalle truppe naziste; nel 1940, quando l’Italia entrò nella Seconda guerra mondiale e nel 1930, quando la guerra esplose.
“La devozione a San Gennaro non può essere assimilata ad alcun fatto di folklore, non è feticismo, mito o fantasia”, ha detto monsignor De Gregorio, nel corso dell’omelia di stamattina. “La nostra devozione a San Gennaro si accompagna al messaggio di Gesù, per cui crediamo che Dio stesso sia presente nella storia umana. Gennaro diventa il compagno di questo viaggio, lui per primo ha confidato in Gesù e ha dato la sua vita per lui, e ancora oggi ci incoraggia a fare altrettanto in questa straordinaria storia di una relazione con una persona morta 1700 anni fa, e che è vivo e presente ancora oggi”.
Un illuminante spiegazione della complessità dei rapporto dei napolitani con San Gennaro è resa da Enzo Avitabile nel film-documentario di John Turturro, Passione, che attraverso la storia della musica napoletana racconta uno spaccato profondo della cultura partenopea, si direbbe anche del genius loci della città. “La statua di San Gennaro – racconta l’artista, mentre sullo sfondo passano le immagini e i suoi di una canzone-invocazione dedicata al Santo – è una statua di bronzo che nei secoli si è ingiallita e il popolo napoletano, confidenzialmente chiama il Santo, da fratello, ‘faccia gialla’. Ma la cosa più bella è che il miracolo non lo chiede, lo esige, perché nei secoli quando non c’è stato il miracolo tutte le calamità sono arrivate su questo popolo”.
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