di Paolo
La politica è una bizzarria che trasforma il senso comune in un nonsenso, così che possa apparire paradossalmente sensato solo se lo si affronta da un punto di vista politico.
Paghiamo poco e precarizziamo al massimo la vita delle persone e là dove non cediamo al ricatto del lavoro povero, abbiamo bisogno di migranti di cui lamentarci perché ci rubano il lavoro, poi dopo che la maggior parte delle aziende agricole ha impiegato/sfruttato per anni lavoratori stranieri, glorifichiamo i prodotti italiani e il cibo della tradizione, prendendo in giro l’alimentazione dei paesi da cui essi provengono.
Cancelliamo l’unico strumento di sostegno alla povertà e d’integrazione nel mondo del lavoro che c’è in tutta Europa, perché tronfi incompetenti pagati per stare in poltrona son turbati che venga disperso denaro pubblico verso chi sta sul divano. Peccato che coloro che lamentano i mali d’uno sporco sussidio che disincentiva il lavoro hanno osteggiato tutto ciò che in esso riguardava il reinserimento nel mondo del lavoro, trasformandolo in un sussidio.
Accettiamo stipendi da fame nel paese della giornata della famiglia tradizionale (indetta da ricchi divorziati), che nessun precario potrà mai permettersi e del bonus bebè che non verrà mai al mondo.
Con pochi soldi in tasca non siamo contribuenti sani (anche se lo vorremmo), per cui lo Stato aumenta le tasse strozzando sempre gli stessi, che saranno i nuovi contribuenti malati, per cui lo Stato si vedrà costretto ad aumentare le tasse strozzando sempre gli stessi.
Non siamo consumatori che muovono l’economia perché risparmiamo su tutto, anche sulla salute. Se non ci curiamo non siamo una risorsa, ma un costo aggiuntivo per la sanità e con un’aspettativa di vita limitata che contrae la durata del tempo in cui potremmo partecipare in quanto lavoratori, contribuenti e consumatori, siamo poca cosa e pure nel poco tempo a disposizione.
Acquistiamo prodotti economici dai cinesi perché siamo sempre più poveri, e lo siamo perché le imprese di famiglia hanno chiuso, i mestieri che imparavamo non sono più richiesti, e i nostri titoli di studio sono superflui, perché per anni abbiamo insegnato ai cinesi come fare le cose che ci servono, ma se non altro c’è una buona notizia, alcuni di noi hanno trovato lavoro nei loro negozi.
Ci si lamenta che i migranti costano troppo nei cpr in Italia, ma non di quanto costi mandarli in un cpr in Albania, per poi farli tornare perché non ci si è accorti di stare in Europa.
Se ci sono ministri indagati, il governo s’arrocca attorno a loro, in difesa di una presunta specchiata moralità anche se è accertata l’opacità del loro operato, ma poi si gettano ombre sull’operato di due ex-magistrati antimafia la cui moralità è accertata.
S’assegna un compito delicato come la gestione dei fondi del Pnrr concordato con l’Unione europea ad un incompetente, il quale dopo aver miseramente fallito, viene proposto come nuovo commissario europeo.
Affrontiamo temi presenti e futuri come l’intelligenza artificiale, approntando una commissione con a capo un politico, che saranno anni che fissa la propria macchina da scrivere nell’attesa che finisca di caricare Windows, poi sostituito con un teologo del Papa e mai scelta fu più azzeccata, perché secondo me anche il Signore guardando alla nostra intelligenza col brevetto scaduto si sarà chiesto se non è meglio buttarsi sul generico.
Ce la prendiamo col Papa perché digerisce la guerra come io il lattosio, bruciamo soldi in comparti dall’indotto ridotto come un tanga fatto col filo da pesca, mentre forniamo armamenti e interrompiamo qualunque sforzo diplomatico in un processo di de-escalation militare.
Invero, noi stessi siamo un paradosso, come una maglietta fatta in Cina con su scritto: “Salviamo il Tibet!”. Lo siamo perché siamo noi a fare della politica un paradosso, poiché non andiamo a votare pensando di fare uno sgarro ai politici, che hanno chi porta loro pacchetti di voti anche nei feriali manco fosse Amazon…
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