Da otto anni le Medicine di gruppo integrate sono la forma più avanzata della medicina generale sul territorio: ambulatori aperti 12 ore al giorno e il sabato mattina, con la possibilità di ricevere anche assistenza e cure infermieristiche.
Ma ora il loro futuro è in bilico dopo il rinnovo dei contratti di infermieri e segretarie che ha portato a un aumento degli stipendi. Secondo i medici dovrebbe essere la Regione, tramite l’Usl, che già si fa carico delle spese del personale come previsto dall’accordo sottoscritto ancora nel 2015, a coprire anche le maggiori uscite per l’adeguamento contrattuale. Ma da Venezia finora la risposta è stata di tutt’altro tenore: siano i medici a pagare di tasca propria.
In mancanza di una soluzione il timore è che l’esperienza delle Medicine di gruppo integrate possa finire qui e i medici, che anni fa avevano intrapreso questa forma innovativa di organizzazione della medicina generale, facciano marcia indietro. A rischio, dunque, nella nostra provincia sono le 14 Medicine di gruppo integrate, nelle quali 137 medici, da un minimo di 8 ad un massimo di 15 per gruppo, assistono oltre 211 mila pazienti.
Il contratto del personale infermieristico e di segreteria fornito dalle cooperative è stato rinnovato ancora lo scorso febbraio e la somma degli arretrati si fa sempre più importante. «Se dovessimo pagare di tasca nostra significa che ogni medico dovrebbe farsi carico di diverse migliaia di euro l’anno», spiega il dottor Felice Bozza della Medicina di gruppo integrata di Pernumia, 12.500 pazienti in carico a 8 medici.
«Di fronte a questa prospettiva molti colleghi stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di tornare al classico ambulatorio, aperto 3-4 ore al giorno. Sarebbe una grave perdita sul fronte dell’assistenza territoriale e la fine di un modello organizzato che funziona bene, con soddisfazione dei pazienti e risparmio sul fronte della spesa sanitaria. Ci sono studi autorevoli che dimostrano come fra i pazienti delle Medicine di gruppo integrate vi siano minori accessi al pronto soccorso, minori necessità di visite specialistiche, maggiori possibilità di educazione sanitaria e più elevata attenzione alla prevenzione. Tutto questo si traduce in un beneficio anche per il nostro sistema sanitario. È bene ribadire che questa forma associativa non è un privilegio per i medici che vi hanno aderito, ma la risposta organizzativa e il modello a cui tutta l’assistenza territoriale avrebbe dovuto tendere».
Anche a nome dei colleghi il dottor Bozza ribadisce che i pazienti sono più che soddisfatti perché trovano l’ambulatorio aperto da mattina a sera, comprese le prime ore del sabato, con uno o più medici sempre presenti e la possibilità di eseguire gratuitamente elettrocardiogramma, ecografie, spirometrie, in alcuni casi anche gli esami di laboratorio. Inoltre possono essere prese in carico le cronicità come diabete, bronchiti, malattie cardiovascolari attivando ambulatori dedicati e un costante percorso di prevenzione.
«L’accordo con la Regione per la copertura delle spese del personale infermieristico e di segreteria risale al 2015», continua il dottor Bozza, «proprio per incrementare l’attività di assistenza territoriale nei confronti dei pazienti. Il personale infermieristico di segreteria non serve a noi medici ma è un servizio rivolto a tutti i pazienti. Non pagare i maggiori costi, derivanti da un contratto di lavoro, si tradurrebbe nell’ennesimo taglio dei servizi sanitari pubblici a danno dei cittadini. È come se la Regione decidesse di chiudere un ospedale perché sono aumentati gli stipendi del personale».
In questi ultimi giorni i sindacati dei medici stanno organizzando diversi incontri per decidere il da farsi, c’è stato anche un confronto con i responsabili delle cooperative, che attendono una risposta sui pagamenti degli arretrati. «Stiamo sensibilizzando anche le conferenze dei sindaci, le amministrazioni locali e le associazioni dei cittadini, perché è in gioco», conclude Bozza, «un modello organizzativo che in otto anni ha mostrato tutta la sua validità e perché vogliamo difendere il servizio sanitario pubblico e una assistenza il più possibile di qualità».