C’è un contatore, quello presente sul sito del ministero delle Imprese e del Made in Italy, che prova a monitorare – mese dopo mese – lo stato di avanzamento del piano Banda Ultralarga. L’ultimo riferimento ci parla di numeri che sembrano incoraggianti, dal punto di vista infrastrutturale. Dall’avvio operativo del Piano BUL, infatti, sono in totale 6.514 i comuni in commercializzazione, 4.445 i comuni collaudati positivamente, 10.195 i cantieri aperti. Ma c’è un altro tema per quel che riguarda la connessione in rame e la connessione in fibra: quante utenze sarebbero potenzialmente coperte dalla cosiddetta Fiber To The Home (FTTH) e quante di queste continuano, invece, a utilizzare la connessione in rame?
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Uno dei problemi, collegati a questo tema, è ancora una volta inerente all’educazione digitale. Secondo alcune analisi effettuate (quella più recente a disposizione è il white paper di Virgin Fibra), la consapevolezza dell’utente incide moltissimo sulla tipologia del servizio stesso. Le persone interpellate per realizzare lo studio, che hanno dichiarato di avere una connessione in fibra, in realtà utilizzano una connessione mista rame (solo una percentuale residuale, inferiore al 7%, usa effettivamente una connessione in fibra dopo averlo dichiarato). Questo perché spesso non c’è contezza della differenza tra i due servizi, soprattutto a livello quantitativo (mentre, a livello di costi, l’utente sembra essere mediamente più informato).
Nel 2023, anno in cui era stato realizzato lo studio, solo 3,2 milioni di utenze sono libere dal rame, contro i circa 14 milioni totali tra quelli che utilizzano ancora la banda larga con connessione mista rame (10,3 milioni) e una connessione Adsl (3,3 milioni), ancora interamente in rame. Per questo si rende necessario un piano di switch-off previsto dalle istituzioni: si vuole fare in modo che l’infrastruttura, che si sta costruendo con molta fatica, possa essere utilizzata ed entrare a regime.
Nell’emendamento che sembra voler aumentare del 10% i prezzi delle connessioni in rame, si prevede che la transizione debba avvenire entro e non oltre dodici mesi dal suo avvio nel caso di una quota pari o superiore al 75 per cento di utenze attive sulla rete ad altissima capacità; entro e non oltre diciotto mesi dal suo avvio nel caso di una quota compresa fra il 50 per cento e il 75 per cento di utenze attive sulla rete ad altissima capacità; entro e non oltre ventiquattro mesi dal suo avvio nel caso di una quota inferiore al 50 per cento di utenze attive sulla rete ad altissima capacità. Insomma, l’orizzonte sembra essere più prossimo al 2028 (con anticipo dei tempi, rispetto alla dead line del 2030 precedentemente indicata).
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