TRIESTE Apre nuovamente le aule la Scuola di filosofia di Trieste, diretta da Pier Aldo Rovatti. Da gennaio a maggio sono previsti tre cantieri e tre laboratori (www.scuolafilosofia.it), l’obiettivo è affrontare una questione attualissima, sintetizzata nel titolo “Senza noi, l’individualismo in questione”: «Perché il “noi” – dice il filosofo – sta scomparendo e al suo posto utilizziamo una quantità di falsi “noi”». E infatti “Individualismo e falsi noi” è il titolo del primo cantiere, a cui seguiranno “La cultura del narcisismo” e “Pensare la comunità”. È anche vero che l’idea di comunità e socialità sono estremamente cambiate. Basta dire una parola, “social”: una possibilità sociale che di fatto sembra più una realtà individuale.
Quindi chi è l’individualista?
«L’individualismo per come lo intendo è quello in cui la nozione di soggetto e di vita vengono cancellate, in una dimensione di esistenza quotidiana impostata secondo le esigenze di ciascuno. In qualche modo il trionfo dell’io. Siamo in una situazione in cui apparentemente non abbiamo più legami, dove ognuno va per conto proprio badando a se stesso, prendendo qualcosa di qua e di là in base ai propri interessi: fondamentalmente una situazione egoistica».
Forse è anche la formazione scolastica o famigliare a dirigerci verso questa forma di socialità ambigua? Ci insegnano a selezionare le amicizie, a non sprecare tempo, insomma a costruire una socialità in base alle opportunità…
«Non possiamo fare a meno della società e ciò vale per qualsiasi campo dell’esistere. Quindi cosa facciamo? È un punto che la Scuola affronterà quest’anno. La questione è che disponiamo di una serie di falsi “noi”. Ci costruiamo false socievolezze, false società, falsi modi di stare insieme. Tra tutti questi falsi “noi”, quello più inquietante è il mondo digitale. C’è un’apparente comunità, che mentre porta dei vantaggi implica anche degli svantaggi. Uno di questi svantaggi sta secondo me nel fatto che chi vive attraverso questa socievolezza si circonda di un confine con il quale si preclude l’ascolto degli altri. Se disturbi qualcuno mentre osserva il suo cellulare di sicuro questo ti guarda di storto, perché è quello che gli interessa, guardare il cellulare, un falso “noi”. Un “noi” che non ha corpo».
Oltre ai cantieri, la Scuola prevede tre laboratori, “L’arte del silenzio”, “Il mito di Narciso” e “Fare posto all’altro”. Com’è possibile, oggi, uno spazio di silenzio con il flusso di comunicazione esistente?
«La parola silenzio per me è importante, sul piano filosofico e sul piano della vita. L’ascolto è praticato sempre meno, ma non possiamo arrenderci. Dobbiamo fare in modo che ci siano delle pause nella nostra vita. Non dobbiamo pensare che “pausa” equivalga a una lacuna, a qualcosa di negativo, come una malattia. Al contrario: salute è riuscire ad avere delle pause e ascoltare. Saper essere interessati all’ascolto».
La Scuola affronterà anche il mito di Narciso.
«Il narcisismo è un modo per leggere il nostro tempo. Non è solo una deformazione, ma è anche un modo per capire dove siamo. Quindi è necessario lavorare sul mito di Narciso, sulle varie interpretazioni di filosofi e scrittori. Il narcisismo è importante perché la dimensione priva di “noi” va studiata anche guardando al passato».
Il cantiere “Individualismo e falsi noi”, mette in campo anche l’amicizia…
«Pensiamo che l’amicizia sia una cosa ovvia, ma non lo è per niente. Quando Derrida scrive “Oh amico, non c’è nessun amico”, capiamo che il rapporto amico/nemico è qualcosa di complicato. L’amicizia non è semplicemente fare entrare dentro di te l’altro. La questione del “noi” ha a che fare con l’altro che è dentro di noi. Riconoscere queste nostre alterità significa riconoscere che cos’è l’amicizia, ma significa anche comprendere che cos’è il “noi” che ci manca. Questo “noi” non è un’uguaglianza, una ripetizione, uno con cui ci identifichiamo (come dire “uno uguale a noi”), ma è anche uno con cui ci mettiamo in contrapposizione e che ci mette di fronte al fatto che noi stessi dovremmo disidentificarci con l’io che ci caratterizza ogni giorno. È questo che mette in moto un’idea di socievolezza e quindi la possibilità di legami molto diversi».
Cosa può fare la formazione scolastica per contenere la deriva individualista?
«Le cose potrebbero migliorare se ci fosse una diversa formazione dei docenti. Per lo più oggi anche i docenti sembrerebbero inclini a un certo individualismo: esitano a mettersi in gioco, si limitano a esprimere dei voti, dei semplici giudizi di approvazione o disapprovazione circa l’esito di una verifica. Sembra che nelle aule non ci si interroghi più su cos’è cultura, cos’è il lavoro intellettuale, cosa significa insegnare o fare scuola».