Dalle prime ore di questa mattina, la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza, sotto la direzione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Brescia, stanno portando avanti un’importante operazione contro una presunta associazione mafiosa di matrice ‘ndranghetista attiva nel territorio bresciano. Le forze dell’ordine stanno eseguendo 25 misure cautelari, sequestri preventivi per un valore superiore a 1,8 milioni di euro e numerose perquisizioni nelle province di Brescia, Reggio Calabria, Milano, Como, Lecco, Varese, Verona, Viterbo e Treviso. L’organizzazione criminale è sospettata di essere coinvolta in estorsioni, traffico di armi e droga, ricettazione, usura, reati fiscali e riciclaggio.
Tra i reati contestati figura anche lo scambio elettorale politico-mafioso. Contemporaneamente, i Carabinieri del Comando Provinciale di Brescia stanno eseguendo un’ulteriore ordinanza cautelare nell’ambito dello stesso procedimento penale. Questa ordinanza riguarda promotori e affiliati del gruppo criminale, accusati di reati simili, aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso.
Le indagini hanno permesso di ricostruire le relazioni tra l’associazione e altri gruppi criminali di matrice ‘ndranghetista operanti nell’hinterland bresciano. Questi legami avrebbero dato vita a una rete di mutua assistenza, finalizzata alla realizzazione di una vasta gamma di attività illecite.
Tra gli arrestati anche la suora Anna Donelli che "più volte, avrebbe svolto il ruolo di intermediario, tra gli associati e soggetti in detenzione, approfittando dell'incarico spirituale che le consentiva di avere libero accesso alle strutture penitenziarie".
Particolarmente significativi sono i rapporti tra il sodalizio mafioso e un personaggio di rilievo nella comunità bresciana. Secondo gli inquirenti, tra le parti sarebbe stato stretto un patto elettorale politico-mafioso: il clan avrebbe garantito sostegno elettorale in cambio della promessa di futuri vantaggi economici illeciti.
L’indagine ha anche messo in luce la capacità del gruppo di evolvere le proprie attività, assumendo le caratteristiche tipiche delle moderne organizzazioni criminali attive nel Nord Italia. Oltre ai reati tradizionali, l’associazione avrebbe infatti promosso e gestito una serie di imprese fittizie – note come “cartiere” e “filtro” – operanti nel settore del commercio di rottami.
Queste aziende, nel periodo sotto indagine, avrebbero emesso fatture false per un totale di circa 12 milioni di euro. L’obiettivo era duplice: consentire a imprenditori compiacenti di ridurre il reddito imponibile e, contemporaneamente, riciclare denaro proveniente da attività illecite, trattenendo una percentuale come commissione per l’associazione criminale.