«Speriamo che non vadano oltre, perché le parole sono pesanti». Ancora scosso nella voce risponde così al telefono l’avvocato padovano Giovanni Caruso, legale difensore di Filippo Turetta, che ieri ha ricevuto una busta al suo studio contenente tre proiettili. Una chiara minaccia all’indomani della sentenza della Corte d’assise di Venezia che ha condannato Turetta all’ergastolo.
La busta affrancata è stata recapitata allo studio del penalista, nel rione di San Carlo, nella mattinata. Quando Caruso è arrivato in ufficio, verso le 14, ha aperto la corrispondenza: in una busta, evidentemente più spessa del normale, ha trovato le tre cartucce avvolte in un foglio di carta. L’avvocato ha subito compreso la gravità della situazione e ha chiamato la Questura: sul posto sono arrivati agenti della Squadra Mobile, della Digos e una squadra di esperti della Polizia Scientifica.
La busta, così come le cartucce e il biglietto minatorio sono stati repertati e verranno analizzati per risalire all’autore della minaccia. Le forze dell’ordine stanno valutando tutte le piste, in un contesto di forte esposizione mediatica legata al ruolo difensivo dell’avvocato Caruso nel caso Turetta. Un fascicolo d’inchiesta sarà aperto dal sostituto procuratore di turno.
L’episodio si aggiunge alle minacce già ricevute sui social i mesi scorsi. Contattato, Caruso ha anche sottolineato lo sgomento procurato dal ritrovamento dei proiettili in studio. In serata è stato convocato in Prefettura un comitato tecnico per l’ordine e la sicurezza pubblica, nel quale il prefetto Giuseppe Forlenza ha accolto le indicazioni del questore Marco Odorisio per la predisposizione di un servizio di vigilanza a tutela di Caruso in tre aree: l’abitazione, il suo studio, e all’Università di Padova dove Caruso è professore ordinario di diritto penale.
«Purtroppo si tratta solo di un altro episodio di intimidazione», osserva il presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova, Francesco Rossi. «È un chiaro attacco al diritto alla difesa. Di fronte a un atto di inaudita gravità, ovvero l’aver ricevuto addirittura minacce di morte, l’Ordine e l’avvocatura non possono tacere. Urge, con estrema sollecitudine, che il dibattito venga immediatamente riportato a canoni di civiltà e continenza – spiega Rossi – affinché simili episodi non si ripetano».
Quindi il presidente dell’Ordine conclude: «Sempre più frequentemente la vulgata confonde e sovrappone l’esercizio del diritto di difesa con il fatto-reato, sulla scia di una narrazione che ciecamente affianca e assimila l’avvocato all’imputato, rendendolo, agli occhi degli osservatori, esso stesso colpevole».