PAVIA. La procura di Pavia ha deciso di non fare appello contro le tre assoluzioni per l’incidente costato la vita a Riccardo Tirelli, morto a 26 anni il 17 settembre 2019 nell’impatto con la sua auto contro il dosso di via Scopoli, di fronte al municipio. La sentenza, quindi, si avvia a diventare definitiva, a meno di un ricorso (ancora possibile sulla carta ma difficile) della procura generale. L’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo «perché il fatto non sussiste» era arrivata a luglio per l’allora dirigente del settore Mobilità del Comune di Pavia, Luciano Bravi, per il direttore dei lavori di Asm Pavia Massimo Prina e per Fabrizio Cossali, titolare dell’azienda edile Dorno che stava facendo i lavori.
Le richieste della pm
La pm Valeria Biscottini aveva chiesto l’assoluzione per Bravi (che aveva disposto i lavori senza un progetto, in realtà esistente secondo il difensore Massimo Marmonti e secondo quanto emerso dal processo) e condanne a 3 anni e mezzo per gli altri due imputati. Ma la giudice Valentina Nevoso aveva deciso di assolvere tutti. Con il mancato appello della procura di Pavia non ci sarà, quindi, un processo di secondo grado. Ai genitori della giovane vittima, nel processo parte civile con gli avvocati Laura Sforzini e Ivan Giubilo, non resta che la causa civile.
I familiari hanno partecipato a tutte le fasi del processo e confidavano in una sentenza diversa, ma la giudice, sulla base delle conclusioni del perito Marco Sartini di Genova, da lei incaricato, aveva assolto gli imputati.
La tragedia
La notte dell’incidente, Riccardo Tirelli, gestore del pub di Belgioioso “Al Trani”, tornava da un locale. Il 26enne era alla guida di una Mazda spider e percorreva piazza del Municipio, con di fianco un amico. In quel punto, in via Scopoli, era in fase di realizzazione un attraversamento pedonale. L’auto impattò contro il dosso e decollò, andando a schiantarsi contro il muro del municipio: il conducente morì quasi subito, il passeggero restò ferito. Sotto accusa finì proprio il dosso. Per molti automobilisti quell’attraversamento, infatti, era poco visibile e troppo alto. In altre parole, pericoloso. La perizia della procura confermò i dubbi ma quella disposta dalla giudice e affidata all’ingegnere Marco Sartini di Genova rilevò altre cause nell’incidente, «tutte riferibili alla sfera del conducente della vettura».
Le motivazioni
La procura ha valutato di non ricorrere in appello dopo avere esaminato le motivazioni della sentenza della giudice Nevoso, che non lascerebbero spazio a un’impugnazione. Per il perito il manufatto era infatti regolare (non essendoci peraltro normative specifiche sulla realizzazione di questi manufatti) e «conforme al progetto». C’erano, questo sì, problemi di segnaletica: il cartello di pericolo era collocato a sinistra e non a destra e a una distanza non sufficiente per permettere agli automobilisti di vederlo; mancavano inoltre le strisce sulla rampa di salita, aggiunte solo dopo l’incidente. «Ma la collocazione spaziale corretta della cartellonistica – dice la sentenza – non avrebbe comunque evitato il sinistro». Le responsabilità degli imputati, quindi, non sono provate. Le uniche cause certe, secondo quel verdetto, sono «risultate essere la velocità dell’auto», superiore ai 70 chilometri orari, e il mancato uso della cintura di sicurezza, che se utilizzata «avrebbe permesso il contenimento degli effetti lesivi dell’impatto».