Ergastolo o no? Un omicidio pianificato nei minimi particolari, pensato e premeditato per almeno quattro giorni e inflitto con crudeltà per uccidere la giovane donna di 22 anni che non lo voleva più, esasperata dalle ossessioni di lui (come sostiene il pubblico ministero Andrea Petroni)?
Oppure un delitto certamente «orribile ed efferato», che va punito severamente, ma senza «crocifiggere e buttare via la chiave della cella», ma pensando anche al futuro recupero sociale di «un ragazzino» (come ha sostenuto in aula il difensore Giovanni Caruso)?
Martedì 3 dicembre è il giorno della sentenza per Filippo Turetta, per il femminicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto nella notte dell’11 novembre 2023.
L’udienza in Corte d’Assise di Venezia si aprirà alle 9.30: il pm Petroni non pare intenzionato a replicare all’arringa degli avvocati Caruso e Cornaviera. Di conseguenza anche i legali di parte civile e della difesa non prenderanno la parola. Filippo Turetta sarà presente in aula ma non farà “dichiarazioni spontanee”.
Poi la giuria popolare, il presidente della Corte Stefano Manduzio e la giudice a latere Francesca Zancan si riuniranno in Camera di Consiglio, nella sala alle spalle dell’aula stessa: a sfogliare autopsie, rivedere immagini video, rileggere dichiarazioni. Secondo le previsioni della vigilia, la sentenza dovrebbe arrivare a metà pomeriggio. Ergastolo o pena?
Ci potrebbe essere - in ipotesi - una terza possibilità, ovvero, che la Corte si convinca della necessità di sottoporre Filippo Turetta a perizia psichiatrica: il che sarebbe un colpo di scena, non avendo né la Procura, né la difesa chiesto l’accertamento. Ma, codice alla mano, un’opzione possibile.
Il che significherebbe indicare un perito e dargli il tempo di parlare con l’imputato e stendere la sua relazione sulla capacità di intendere e volere al momento dell’omicidio. Rinviando al nuovo anno la decisione. Più probabile si vada a sentenza.
Sono tre i capisaldi della pubblica accusa, che hanno convinto il pm Petroni a chiedere la condanna all’ergastolo di Turetta. La premeditazione del delitto, innanzitutto, nata dall’ossessione che il giovane aveva trasformato in rabbia, dopo che Giulia aveva deciso di lasciarlo, perché troppo geloso e oppressivo.
Per la Procura, la prova regina della volontà premeditata di uccidere è nella “lista” che Turetta ha iniziato a scrivere il 7 novembre – mentre stava chattando con Giulia al cellulare - e ha cancellato alle 4.30 di mattina del 12 novembre, dopo averla uccisa con 75 coltellate e averne nascosto il corpo in un dirupo in Friuli.
Elenco dell’orrore noto: comprare cartina, fare il pieno, bancomat, prendere coltelli, badile, lampada, sacchi dei rifiuti, corde, calzino umido, «legare caviglie sopra e sotto ginocchio, scotch, silenziare puntando coltello, nastro sulla bocca, toglierle le scarpe».
Poi la crudeltà, in un omicidio iniziato con l’aggressione nel parcheggio di Vigonovo (dove sono state trovate ampie chiazze di sangue e la lama di un coltello spezzato) e finito 20 minuti dopo sotto le telecamere di sorveglianza della ditta Dior a Fossò, sotto l’occhio delle quali Giulia è stramazzata a terra.
Corpo inerme che Filippo carica in auto, per poi sparire per una settimana. «Immaginatevi cosa significhi essere bloccati, silenziati, feriti con quella violenza e sapere che stai andando incontro alla morte», ha detto il pm Petroni nella sua requisitoria.
Giulia ha provato a difendersi: le sue mani sono trafitte da 25 ferite, anche se quelle che l’hanno uccisa sono due profonde coltellate alla nuca, altre al collo e colpi in tutto il corpo a devastarne anche il volto.
Infine, la lucidità con il quale Turetta ha chiuso il cellulare e si è cambiato di abito dopo il delitto, ha spento e gettato chissà dove cellulare e pc di Giulia, ha cancellato la memoria del proprio telefono subito prima dlel’arresto in Germania, a soldi finiti. Senza dimenticare lo stalking: le migliaia di messaggi, chat, telefonate, minacce con le quali Filippo ha sfiancato Giulia per mesi.
Gli avvocati Caruso e Monica Cornaviera non contestando certo la gravità del delitto, ma le aggravanti da ergastolo: «Giudicate secondo legalità e non per esporre l’imputato alla gogna», ha sollecitato Caruso la giuria, «Premeditare un delitto significa restare fermamente fissi nell’idea di portarlo a termine, per Filippo Turetta non è stato così. Chiunque percepisce lui è la personificazione dell’insicurezza, della mancanza di progettualità».
Per la difesa la lista non è un proposito lucido, ma una fantasia, uno sfogo dopo una giornata - quella del 7 novembre - caratterizzata da un’accesa lite con Giulia. Interrogato Filippo ha detto «avevano da poco litigato, provavo risentimenti, era un bruttissimo periodo...mi faceva piacere scrivere questa lista per sfogarmi ipotizzare, mi tranquilizzava pensare che le cose potessero cambiare». Rapirla sì, «ma in quel momento nella mia testa non era qualcosa di definitivo».
La crudeltà? No, per la difesa un cortocircuito scellerato, un colpire alla cieca. Turetta, infine, non ha precedenti e ha diritto al riconoscimento delle attenuanti generiche.
Interrogato in aula il 25 ottobre, l’omicida tra lunghe pause, rispondendo alle domande del pm Petroni ha detto una frase netta: «Ho pensato di rapirla, e anche di toglierle la vita: ero confuso, io volevo stare ancora assieme a lei».
«Pensato, non programmato», era intervenuto l’avvocato difensore Caruso. Deciderà la Corte d’Assise e si tratterà, comunque, di una sentenza di primo grado. Impugnabile in appello.