«Troppo spesso si parla di alberi tagliati, ma quando ad essere eliminate sono quelli sulle tombe dei defunti, in nome di “regolamenti” scritti non si sa con quale criterio, la cosa lascia allibiti e molto addolorati».
Elisabetta Barbacci, professoressa in pensione, ha perso il figlio Claudio nel 2009, a soli 37 anni. Era un ingegnere, tornava dal lavoro e un incidente stradale l’ha strappato all’amore della madre.
«Nel cimitero Maggiore, sulla tomba di mio figlio avevo piantato una Fotinia, muta testimone tra due realtà – la vita e la morte – inconciliabili», racconta la donna, «Purtroppo è stata tranciata di netto, fin quasi alle radici. Era una pianta modesta, che avevo cura di potare perché non creasse problemi alle altre tombe, ed è stata tagliata senza che fossi avvertita: ho 83 anni, non potrò aspettare altri 16 anni per vederla crescere, se non morirà prima. Ho pensato a tutti gli alberi che vengono abbattuti per ragioni esclusivamente economiche. Ho pensato al libro di Michele Armelin, “Il Cipresso del Canova”, dedicato a Louise Von Callemberg, aristocratica del’700 sopravvissuta a due guerre mondiali, al bombardamento del 1944, alla sua forza nel resistere a tutte le avversità che la storia gli ha presentato. La mia povera Fotinia, invece, è rimasta vittima dell’ignoranza e dell’insensibilità degli uomini: sono delusa e dispiaciuta perché non è stata rispettata la memoria, l’unica cosa che salva l’uomo».
Nelle parole della professoressa Barbacci predomina la tristezza, supera anche il sentimento dell’indignazione: «Capisco i regolamenti», aggiunge, «ma serve anche un po’ di buon senso. Sono stata assente durante l’estate per il troppo caldo e le troppe zanzare, ma un avviso di abbattimento doveva rimanere per più tempo, avremmo potuto trovare una soluzione».
Ed è proprio sull’avviso che si consuma il dolore della donna e il rammarico dell’assessora alle Politiche cimiteriali Francesca Benciolini che assicura: «Abbiamo messo un cartello, non avendo purtroppo un contatto diretto. Cartello che è rimasto affisso all’albero e appeso in bacheca per mesi prima di tagliare la pianta. Il regolamento dice che nessun albero può superare il metro di altezza, sia per ragioni tecniche, sia per non disturbare le tombe. Da tre anni il cimitero è diretto dall’architetta Rampazzo che, oltre a essere brava, ha la capacità rara di saper accompagnare le persone. Chi lavora al cimitero vede il dolore, conosce le tragedie, sa bene che ci sono simboli e significati. È un ruolo delicato che svolgiamo con grande responsabilità. Ci dispiace tantissimo che la signora non abbia visto il cartello, l’ho anche incontrata più di una volta, le ho detto che siamo rammaricati, anche se non avremmo potuto comunque salvare l’albero».