Una potente esplosione, dolosa – sicuramente un atto terroristico, secondo Pristina. E mezzo Kosovo, incluse le centrali elettriche a carbone, rimane a secco, mentre la tensione schizza di nuovo ben oltre i livelli di guardia. Si rischia grossissimo, ancora una volta, in Kosovo, Paese scosso da un grave incidente, che potrebbe avere una matrice terroristica con fini destabilizzanti.
L’incidente è stato registrato nella tarda serata di venerdì nei pressi del villaggio di Donje Varage, nel Nord del Kosovo a maggioranza serba, non distante dall’importante bacino artificiale di Gazivoda, dove ignoti hanno piazzato un ordigno e fatto esplodere un tratto del massiccio canale “Ibar-Lepenac”, costruito in cemento, vitale per le forniture idriche a metà Paese, capitale inclusa, e soprattutto per il raffreddamento delle centrali elettriche.
«Sulla base delle indagini già effettuate, l’esplosione è stata un attacco deliberato, un atto terroristico», ha annunciato la polizia kosovara, specificando che l’ordigno sarebbe esploso nella serata di venerdì, intorno alle 19. Gravissimi i disagi alla popolazione a causa dell'impatto sulle infrastrutture energetiche e idriche del Kosovo, enormi i rischi anche per la tenuta del sistema di produzione dell’elettricità, già di per sé delicato e obsoleto.
A stretto giro di posta, la conferma del premier kosovaro, Albin Kurti, che ha parlato di «attacco criminale e terroristico, pensato per danneggiare le nostre infrastrutture critiche». E ha subito puntato l’indice contro Belgrado. «Pensiamo che sia arrivato da gang dirette dalla Serbia», da «professionisti». Attacco che rappresenta un episodio così grave da aver subito spinto a reagire anche le grandi potenze.
«Lo condanniamo» e Washington «monitora da vicino la situazione» e «abbiamo offerto assistenza al governo del Kosovo» per assicurare alla giustizia, quanto prima, i responsabili, hanno detto gli Usa. Gli autori del «sabotaggio» devono «essere trovati» rapidamente, ha fatto eco anche Miroslav Lajčák, l’Inviato speciale Ue per il dialogo Serbia-Kosovo.
E la Serbia? Ha reagito con sdegno, rigettando le accuse di Kurti. Il Paese «condanna» questo tipo di «azioni distruttive, inaccettabili, che minano la fragile stabilità che cerchiamo di mantenere», ha affermato il ministro degli Esteri serbo, Marko Đurić.
Che ha aspramente criticato Kurti, definendo le accuse provenienti da Pristina «senza fondamento» e un «deliberato depistaggio».
E anche Belgrado ha chiesto che si trovino «i responsabili» dell’atto terroristico, suggerendo al contempo che potrebbe essere proprio «il regime di Pristina» a essere «coinvolto» nell’incidente.
«Se qualcuno» collegato a Belgrado «ha partecipato a questo atto, sarà ritenuto responsabile, lo stesso vale se sarà provato che Kurti e il suo regime» sono dietro all’incidente, ha fatto eco il numero uno dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo, Petar Petković. «Perché dovrei giustificarmi di qualcosa attraverso i media internazionali, quando sanno che non abbiamo fatto nulla», ha detto da parte sua il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che ha parlato di accuse «irresponsabili» da parte di Pristina e chiesto un’inchiesta internazionale sul caso. Kurti non ha però fatto marcia indietro, indicando successivamente in gruppi paramilitari vicini a «Radoicic», ex affarista e politico coinvolto nell’attacco di Banjska, le menti dell’atto terroristico. Pristina ha anche alzato il livello di allerta, con poliziotti armati a Mitrovica nord e arresti. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA