«Una volta le piazze di Marghera erano in mano ai “fioi”, oggi sono tutte degli sbandati, dei criminali. E la colpa è soprattutto di una politica del lavoro che favorisce solo chi sfrutta il lavoro degli altri». Sir Oliver Skardy - al secolo Gaetano Scardicchio - ha cantato la città giardino con i Pitura Freska e, poi, ha continuato a farlo da solista. La sua, oggi, è la memoria storica di chi ha vissuto da sempre all’ombra della torre dell’acquedotto.
Come vedi, di questi tempi, la notte di Marghera?
«In realtà non esco più granché la sera: ho 65 anni, vado fuori per fare la spesa e poi torno a casa. Ma la verità è anche che non c’è niente da fare: di locale resta solo il Vapore e le piazze, che una volta erano dei giovani, oggi sono in mano ai delinquenti».
E come mai, secondo te?
«Le vere mancanze vanno cercate nel mondo del lavoro: se le persone non guadagnano abbastanza per stare in compagnia, per comprarsi da mangiare, neanche per acquistare il detersivo, devono rimediare vivendo di espedienti. E allora c’è chi truffa, chi spaccia, chi abusa di sostanze. Oggi in Italia gli unici che guadagnano davvero sono quelli che lo fanno sul lavoro degli altri. E certo non è così solo a Marghera: a Napoli un “picciotto” viene pagato 100, 200 euro al giorno per avvistare le Volanti dai tetti. Se trova un impiego è fortunato a portarsi a casa 30 euro per dieci ore di lavoro. Non c’è partita».
Ma ci sono comunque territori dove le ripercussioni sono più gravi che altrove, come a Marghera, appunto...
«Qui abbiamo sempre avuto a che fare con i disperati del lavoro, con chi al lavoro si ammalava e diventava subito un invisibile. E abbiamo avuto a che fare con la criminalità, dagli anni 60 è stato un crescendo, con un capitolo importante segnato anche dalla Mala del Brenta. Perché questo è un territorio industriale, e la ruota non ha girato bene per tutti, chi ci restava sotto finiva per diventare vittima dell’illegalità».
Oggi cosa è cambiato?
«Che ci sono ancora più luoghi abbandonati, ancora più punti bui: le fabbriche dismesse diventano rifugio di sbandati. Bisognerebbe abbattere tutto ma non c’è l’interesse, non frega niente a nessuno, è più facile lasciare tutto così e dire che a Marghera ci sono solo quelli brutti e cattivi, che per questo le cose peggiori succedono qui».
Come valuti la forte presenza straniera?
«Gli stranieri hanno iniziato ad arrivare ancora negli anni 70, come in tante altre città d’Italia. Ma noi non abbiamo imparato niente, non abbiamo saputo offrire loro alcuna reale integrazione. E adesso, che la situazione del mercato del lavoro è quella che è, se va male per gli italiani figuriamoci com’è per loro».
Ma i giovani che prima occupavano le piazze? I ragazzi, gli studenti, che fine hanno fatto?
«Hanno visto quello che è successo a chi è venuto prima di loro e hanno imparato bene la lezione. Noi, che siamo stati gli ultimi a vivere davvero la strada, venivamo controllati ogni dieci minuti, come fossimo criminali. C’è stato un periodo in cui giravamo con i documenti appesi sulle giacche con le mollette del bucato, tante erano le volte che ce li chiedevano poliziotti, vigili, carabinieri, finanzieri... Chi è venuto dopo allora si è spostato dietro i palazzi, nelle zone buie, per non subire lo stesso trattamento».
E adesso?
«E poi sono arrivati i cellulari, internet in tasca: ci si parla solo lì, noi invece anche per darci appuntamento dovevamo per forza incrociarci per strada. Adesso si fa tutto online, persino le baruffe si svolgono sulla rete, al massimo ci si trova per farle finire. Come deve essere successo anche lunedì».