Su queste colonne ribadiamo pazientemente da mesi come la sinistra europea, i cespugli rosso-verdi e la ridotta liberale di rito macroniano si ostinano a non accettare la nuova realtà: il fatto, democratico, che le istituzioni europee non sono più un loro appannaggio. In preda all’horror vacui collettivo, costoro hanno cercato in tutti i modi di occultare il risultato politico delle elezioni europee, fin da subito: dal famoso caminetto degli sconfitti, quello fra Macron e Scholz, con la spartizione spudorata dei primi top job. Si sono illusi poi – con il soccorso parlamentare dei Verdi al discorso programmatico di Ursula von der Leyen – di poter riproporre la stessa pseudo-maggioranza, al prezzo di riconsegnare l’intero sistema industriale europeo allo schema del fanatismo ambientalista. E hanno provato infine ad innalzare un goffo e grottesco cordone sanitario nei confronti dell’unico capo di governo e di partito uscito vincitore dal responso popolare: Giorgia Meloni.
Il risultato? Sei mesi dopo la chiusura delle urne, i notabili dell’asse franco-tedesco e i socialisti di tutte le latitudini continuano ad annaspare; l’Italia invece, con il governo di destra-centro che nel frattempo ha votato “no” alle linee di von der Leyen, ha ottenuto da quest’ultima un incarico superiore alla precedente legislatura: la vicepresidenza esecutiva, con un portafoglio monstre, per Raffaele Fitto. Non solo. Proprio l’Italia, dopo le votazioni che ieri hanno ufficializzato il collegio della nuova Commissione, è emersa come la Nazione – fra le grandi – meno turbata dal nuovo assetto: addirittura con porzioni importanti del Pd che hanno dovuto riconoscere (non senza fatica e solo dopo la plateale, in stile quirinalizio, tirata d’orecchie di Sergio Mattarella) la bontà della scelta dell’esponente conservatore e l’importanza assegnata da von der Leyen all’Italia.
È questa la lettura autentica e fattuale di ciò che è avvenuto nelle ultime ore. Già, lasciate perdere i vari piddini che hanno cercato per tutta la giornata di ieri di confondere le acque svalutando il loro stesso voto (e ruolo). Ad esempio come ha fatto Nicola Zingaretti parlando di Commissione «debole» perché «guarda a destra». La realtà è che la “maggioranza Ursula” – se mai è esistita – è durata come un castello di sabbia a riva col mare mosso. E l’indicazione di Fitto «il post-fascista» (sic!), nel bene e nel male, è l’effetto non certo la causa. Due esempi per capire meglio: la folta delegazione spagnola del Pp (dunque del Ppe) ha votato contro von der Leyen non certo per dissociarsi dal vicepresidente italiano ma in odio alla vicepresidente socialista spagnola, la “rosso-verde” Ribera. Gli stessi Verdi tedeschi, sentendo aria di un nuovo governo in patria e di una possibile alleanza col centrodestra dopo il flop targato Scholz, non hanno certo votato contro la connazionale. Alcuni nel gruppo europeo si sono astenuti, loro – in barba alle letture semplicistiche che li vedrebbero allineati per il “consulente” all’ambiente scelto all’ultimo istante da Ursula – hanno proprio votato a favore della Commissione, dunque di Fitto vicepresidente.
Due vicende sintomatiche che chiariscono appieno come le questioni nazionali ricadono, eccome, sugli equilibri in Europa. E queste non fanno che registrare ciò che l’Europarlamento ha cristallizzato (ossia che tre dei quattro principali raggruppamenti politici – Ppe, Patrioti ed Ecr – sono di destra) e che il Consiglio europeo, la rappresentanza dei governi dei 27, ha proiettato sulla Commissione appena insediata con i rispettivi commissari. Cosa? Lo spostamento a destra e il disallineamento dalle solite logiche tecnocratiche della Grosse Koalition. Proprio ciò che la sinistra continentale non intende accettare, convinta di poter escludere l’avanzata delle destre con l’esorcismo antifascista. Ma i numeri in democrazia sono più forti delle superstizioni e indicano senza mezzi termini la realtà: i socialisti sono minoranza in tutta Europa.
Si capisce perfettamente, allora, perché in tale contesto a restare “isolata” dai giochi continentali non è stata, non è e non sarà certamente l’Italia. È un discorso figlio della stabilità del governo Meloni, della connessione con l’elettorato e del ruolo ritrovato come soggetto attivo – non più semplice ricettore – delle politiche pubbliche europee. Di fatto l’esperimento più avanzato di conservatorismo di governo a cui, dossier su dossier, guardano i partner di mezza Europa. E, naturaliter, oltreoceano. Ecco perché Von der Leyen ha voluto fortemente riconoscere un ruolo centrale: perché Meloni ha vinto la sfida dell’agibilità politica e del pregiudizio con ricette, soluzioni, idee innovative.
Italia decisiva per la nuova Commissione, dunque, come in tanti sottolineano? E nonostante non abbia partecipato all’elezione del Commissario né intenda entrare in alcuna logica di coabitazione con i socialisti? Politicamente sì. Ma questo è solo l’inizio: il resto si vedrà, voto dopo voto. Per il momento si può dire che von der Leyen ha aggiornato le sue linee guida: segno che lei per prima, in poche settimane, ha capito che l’equilibrio politico è mutato. E le istruzioni per leggere bene la bussola sono scritte tutte in italiano…
L'articolo L’editoriale. Italia decisiva per la nuova Commissione. Sinistra strozzata dal cordone (sanitario) sembra essere il primo su Secolo d'Italia.