Un uomo minuscolo - pare una formica - sotto una sequoia, i cipressi calvi di una foresta antica, le terre danneggiate da inondazioni e incendi, i siti che producono energia nucleare, anziani nativi delle riserve Sioux con i visi cotti dal sole: ecco il mondo fragile eppure indistruttibile documentato nella mostra Mitch Epstein - American Nature, in corso alle Gallerie d’Italia, Museo di Intesa Sanpaolo a Torino fino al 2 marzo 2025 (immagini delle due pagine precedenti).Il potere iconico di Epstein - fotografo, regista, artista americano nato nel 1952 - qui è alla massima potenza. In mostra, a cura di Brian Wallis (Center for Photography di Woodstock), e riunite per la prima volta, le serie fotografiche più significative realizzate da Epstein negli ultimi vent’anni. Trattano della natura selvaggia, sottoposta al cambiamento climatico e alle trascuratezze umane, e sono divise in tre serie: American Power, Property Rights e Old Growth, frutto di lavori iniziati nel 2003. Di chi è la terra? Chi si arroga il diritto di sfruttarla? Sono domande che il visitatore si farà: non si esce intoccati da una mostra del genere, che offre anche video e colonne sonore (dei musicisti Mike Tamburo e Samer Ghadry) ispirati alle quattro stagioni e registrati nelle foreste del Berkshire. Dell’ultima opera di Epstein, Old Growth, a Torino si presenta in anteprima la parte commissionata da Intesa Sanpaolo: fotografie di grande formato che trasportano negli antichi ecosistemi, tesori in pericolo. Michele Coppola, direttore Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo, ha dichiarato: «In queste opere spettacolari leggiamo l’obbligo di prenderci cura del pianeta. Lavorare con i più grandi fotografi significa ragionare sull’attualità. Alcune immagini rimarranno per sempre nella memoria per la loro eleganza, delicatezza e forza».
Non lasciamo il Piemonte, in questo nostro giro tra le mostre più interessanti, senza fare sosta al Castello di Novara. Ci aspetta Paesaggi. Da Migliara a Pellizza da Volpedo, mostra (fino al 6 aprile) con oltre 70 opere di collezioni pubbliche e private. Dipinti che introducono alla prospera pittura di paesaggio tra Piemonte e Lombardia, dagli anni Venti dell’Ottocento al primo decennio del Novecento. Un periodo artistico felice, capace di documentare - mentre si stava affermando la fotografia, diavoleria che avrebbe dovuto far sparire i pittori - società e natura di un’Italia in formazione come Stato nazionale. Campagne, città - magnifiche le vedute milanesi di autori quali Mosè Bianchi, Filippo Carcano, Giovanni Segantini, Emilio Gola -, montagne e laghi, «fanali accidiosi» (un pensiero a Carducci) e sbuffi di vapore dei treni, mucche al pascolo e nevi d’antan avvolgono il visitatore trasmettendo un senso di quiete e di buone cose andate nel tempo. Divisa in nove sezioni, la mostra è curata da Elisabetta Chiodini e organizzata da Mets Percorsi d’Arte. L’ultima sezione è dedicata ai Divisionisti, tra i quali Angelo Morbelli, Segantini e Pellizza da Volpedo, del quale possiamo ammirare a Milano, al Museo del Novecento, il celeberrimo Quarto Stato.
Invece a Domodossola (VB), fino al 12 gennaio è visitabile I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e René Magritte, ai Musei Civici Gian Giacomo Galletti in Palazzo San Francesco, ideata e curata da Antonio D’Amico, Stefano Papetti e Federico Troletti. Oltre 40 opere, tra dipinti e sculture in marmo e bronzo, mettono sotto gli occhi i vari «Tempi del Bello», sulla scorta dei modelli classici che si adattano a ogni epoca. In mostra assoluti capolavori, quali l’Annunciazione della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, di Guido Reni (maestro bolognese del Seicento), e il San Sebastiano sempre di Reni, che dialoga con quello precedente e classico di Ludovico Carracci (1599). Percorso che si conclude con Magritte, a significare il legame tra le varie espressioni artistiche del Bello. A Imola, città che secondo una spiritosa ma veritiera definizione sarebbe «il trattino tra Emilia e Romagna», è in corso, al Museo San Domenico, una mostra con oltre cinquanta opere di un «eccellente pittore» (copyright, Camillo Langone): Nicola Verlato, veronese ma cittadino del mondo. I suoi dipinti e sculture, qui raccolti sotto il titolo Myth Generation, sono onirici e figurativi al medesimo tempo, intrisi di arte classica e rinascimentale, come di suggestioni pop e tecnologiche, senza rinunciare a un tocco fumettistico e surreale. Il mito si intreccia al mondo contemporaneo, con riferimenti a James Dean e Pier Paolo Pasolini. «La forza immaginifica di Verlato» scrive il curatore Diego Galizzi «non lascia indifferenti. In questi dipinti riviviamo gli echi di un passato ancestrale che riaffiorano continuamente, reinterpretati e a volte stravolti. In primo piano c’è sempre la figura dell’Uomo, con i suoi valori ma anche col suo disordine morale».
Da vedere, fino al 19 gennaio. Fra le tante esposizioni in corso a Milano - da Munch a Picasso, dalle foto di Carlo Orsi alle collezioni novecentesche del Crédit Agricole, da Elio Fiorucci alla Triennale alle sculture di Lorenzo Bartolini alla Fondazione Rovati - scegliamo Baj chez Baj, a Palazzo Reale fino al 2 febbraio. Enrico Baj, genio eccentrico dell’avanguardia italiana, è sempre modernissimo, «croccante» potremmo dire con un termine in uso (e abuso). Dame, Specchi, Ultracorpi, Generali e altre incarnazioni del suo immaginario artistico non smettono di sorprendere. Opere «patafisiche» ma comprensibili, da vedere nella stessa Sala delle Cariatidi dove nel 2012 venne esposta la grande tela di Baj intitolata Funerali dell’anarchico Pinelli, ispirata a Guernica di Picasso. Sono cinquanta, realizzate nella seconda metà del Novecento, qui organizzate per la mostra curata Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj. Un riassunto dell’irriverenza artistica, anche a uso delle giovani generazioni: ecco cosa rappresenta Baj, con il quale chiudiamo il nostro percorso tra le mostre, tante e spesso molto valide, in corso in Italia.