«Ho avuto paura che mi picchiasse o che mi accoltellasse. Soprattutto, ho avuto paura di morire. Non lo avevo mai provato prima».
Anna è un nome di fantasia, è una ragazzina. Ha 14 anni e domenica pomeriggio, 24 novembre, dopo aver partecipato alla manifestazione contro la violenza sulle donne a Treviso, è stata molestata da due uomini sui 30 anni, mentre aspettava il treno per tornare a casa.
Erano le due del pomeriggio, c’era luce e la stazione era deserta. Quando ha visto avvicinarsi prepotentemente uno dei due individui ha pensato che forse non avrebbe più visto i suoi genitori e le sue sorelle. È domenica mattina e Anna ha partecipato alla manifestazione contro la violenza sulle donne come volontaria, finito l’evento, saluta le amiche e va in stazione per tornare a casa.
Si siede ad aspettare il treno che è in ritardo. È contenta d’aver dato il suo contributo a una causa che sente vicina: sono diverse le ragazze anche della sua età che sono state vittima di abusi o violenza. A un tratto, si avvicinano due individui di origine straniera, forse pakistana: uno rimane poco distante a controllare che nessun altro si avvicini, mentre l’altro va diretto verso di lei. «Come ti chiami? Dove vivi? Cosa ti piace?».
Anna tergiversa, non risponde alle domande, l’individuo si butta su di lei, la tiene ferma e la bacia in faccia. Sulla bocca. Lei riesce a divincolarsi e scappa via veloce. In quel momento in stazione ci sono solo alcuni senza fissa dimora, che stanno dormicchiando. Nessuno interviene. I due si dileguano. Anna chiama sua sorella al telefono ed esce sul piazzale.
Da casa parte subito il suo papà, la raggiunge e insieme vanno negli uffici della Polfer, guardano i filmati di videosorveglianza e riescono a vedere in faccia i molestatori. Rivedono insieme la scena e scende il silenzio, ma divampa anche la rabbia. Immediata è la volontà di sporgere denuncia. Prima in questura, ma non è possibile procedere, non è possibile farla in un giorno festivo, e poi al comando dei carabinieri.
«Avevo paura che quell’uomo mi seguisse, perché ho cominciato a correre e non ho visto dove è andato, temevo che se mi avesse raggiunta mi avrebbe portato via», racconta con un filo di voce Anna. «Ricordo solo il volto di uno, l’altro è rimasto lontano».
Uscirai ancora da sola? Le chiediamo. Anna si prende un attimo per rispondere, quel silenzio pesa come un macigno: «Sì, lo farò, ma starò più attenta, anche se sono convinta di non aver fatto nulla perché accadesse quello che è successo».
E poi pensa anche alle sue coetanee. «Cosa consiglierei a chi ha subìto lo stesso?», si chiede, Di parlarne con qualcuno, ma anche di non stare mai da sole», risponde alla sua stessa domanda.
Le parole di Anna feriscono ancora di più l’animo e il cuore del suo papà. L’uomo ha dovuto apprendere quello che è successo alla sua bambina, impotente, a cose fatte. «Mia figlia è stata molto coraggiosa perché ha raccontato a noi genitori quello che è successo e lo ha voluto anche condividere in modo da aiutare anche le altre ragazze. Ma c’è qualcosa di sbagliato nelle sue parole: non è giusto che abbia paura. Non dovrebbe capitare di vivere così. La libertà non può essere repressa per la paura».
È la rabbia a parlare e, ancor di più, la volontà di vedere la propria figlia serena. «Ho detto alla mia bambina che ha fatto bene a raccontare tutto, ma vorrei che si sentisse al sicuro, che non abbia il timore di salire in treno. In stazione domenica nessuno è intervenuto, non c’era polizia. Se fosse partita probabilmente quei due l’avrebbero seguita e sarebbe potuto accadere il peggio. Questo episodio non può passare in sordina». Anna dice di stare bene, ma lunedì ha preferito stare a casa con i suoi genitori. Non è ancora tempo di uscire da sola.