Dallo sdegno provato dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin alla denuncia: sempre più donne contattano i Centri anti violenza per segnalare i maltrattamenti a cui sono sottoposte da mariti, compagni, familiari e conoscenti. Ma non basta perché, nonostante le prese in carico siano in aumento, nel nostro Paese da gennaio sono state uccise 99 donne. Troppe. Di queste 37 avevano più di 65 anni e vivevano in comuni con meno di 5 mila abitanti, a conferma che il fenomeno non conosce confini. Venticinque vittime erano straniere, 75 quelle italiane. Queste ultime sono in aumento rispetto allo scorso anno quando erano 95.
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Analogo l’andamento in Friuli Venezia Giulia: a Pordenone e a Udine i dati registrati al 18 novembre sono più alti di quelli rilevati nel 2023. Nella destra Tagliamento il Centro anti violenza (Cav ) ha già gestito 372 contatti, 247 il servizio Zero Tolerance nel capoluogo friulano. A queste vanno aggiunto le quasi 200 denunce per Codice rosso raccolte dai carabinieri di Trieste.
Il rapporto Eures, oltre ai 99 femminicidi, registra nove figlie uccise, anche questo è un dato in crescita visto che lo scorso anno erano cinque. Questi fatti avvengono, generalmente, all’interno di stragi familiari o in quanto vittime di una violenza orientata a colpire la coniuge o la ex partner. A colpire sono soprattutto ultra 64enni anche se sale pure il numero degli under 25 (da 4 a 12) soprattutto italiani. Rispetto al 2023 prevale il numero delle vittime straniere.
Anche nella nostra regione i centralini dei Centri anti violenza sono spesso bollenti. Soprattutto dopo la morte di Giulia, l’attenzione verso il problema è in aumento. Lo confermano i numeri. A Udine, da gennaio a ottobre, lo sportello di ascolto telefonico ha registrato 249 contatti, sfiorando i 248 del 2023. Nella stragrande maggioranza dei casi (136) a comporre il numero sono state le vittime di violenza. «Siamo di fronte – spiega l’assessore comunale alle Pari opportunità, Arianna Facchini –, a una maggiore consapevolezza del problema e una crescente fiducia nel Centro antiviolenza.
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L’altro dato che fa pensare è quello delle 171 prese in carico (lo scorso anno erano 166), di queste 103 sono alla prima assistenza. I casi più gravi richiedono l’accoglienza nelle tre casi rifugio presenti a Udine, dove solo quest’anno sono stati accolti 28 nuclei familiari (10 in più del 2023) con 27 minori. «Le donne accolte nelle case rifugio vivono situazioni di pericolo grave» sottolinea Facchini ricordando che la permanenza nelle case rifugio non può protrarsi oltre i sei mesi, il tempo considerato idoneo per consentire alle vittime di violenza di trovare una nuova soluzione abitativa e di raggiungere l’autonomia economica. «Il fenomeno è trasversale – continua l’assessore – spesso interessa donne giovani, per lo più straniere, con figli molto piccoli».
Il fatto che la maggioranza delle vittime sia straniera non significa che anche i loro aggressori lo siano. Secondo il rapporto Eures, infatti, nell’ultimo anno, gli autori di femminicidio di nazionalità non italiana sono passati da 23 a 16, con un decremento del 30,4 per cento, mentre rimane stabile quello degli autori italiani. Più o meno analoga la situazione nel Pordenonese dove solo i contatti sono in aumento del 20 per cento.
Sono poco meno di 200 le denunce per Codice rosso ricevute, da inizio anno, solo dai carabinieri del comando di Trieste. Si tratta in prevalenza di maltrattamenti in famiglia, di atti i persecutori e revenge porn, con un incremento rispetto al 2023, di 70 unità. Sono triplicate pure le denunce per stalking.