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L’intervista. A Lorenzo Marone “a volte capita” di citare Battiato e l’universo che “obbedisce all’amore”.

Lorenzo Marone torna tra gli scaffali d’elitè delle librerie italiane con un nuovo romanzo, “La vita a volte capita”, edito da Feltrinelli. E torna anche il personaggio di Cesare Annunziata con qualche anno in più, protagonista de “La tentazione di essere felici”, riprendendo temi esistenziali che evidenziano nell’autore una maturazione non più partigiana come poteva sembrare agli esordi, ma che abbracciano concetti che bypassano radicate convinzioni personali, come l’accettazione cristiana della vita così com’è, la volontà di potenza di nicciana memoria attraverso cui l’autore  asserisce che possiamo dare noi stessi una direzione alla nostra esistenza, e il concetto d’amore universale che si concreta nella citazione di Franco Battiato, autore caro alla destra, “tutto l’Universo obbedisce all’amore”. Lorenzo Marone, ex avvocato, figlio dell’ex vicesindaco di Napoli all’epoca di Antonio Bassolino (poi diventato sindaco “reggente” quando Bassolino si candidò alla Regione) e della sua ridondante narrazione rinascimentale di Partenope, in questo romanzo e nelle considerazioni che ha rilasciato al Secolo d’Italia, sembra catturare il vero valore della letteratura, destinata a tutti, senza segni o timbri particolari. A dimostrazione che la cultura è e sarà un sigillo universale e non conosce sponde e amichettismi, cosa che in Italia, nel settore dell’arte, della letteratura, della moda, non sempre avviene, ma è spesso preda dei circoli patinati che decidono cos’è il Bello o no. Abbandonare i vecchi attrezzi lessicali e mettersi a nudo senza schemi mentali è la strada per rendere autentica la cultura. A Lorenzo Marone non sarà stato difficile esser “compreso” dal circle inn degli intellettuali di velluto, quelli che guidano l’editoria, a trazione sinistra, e non rinuncia, spesso, a lanciare segnali di appartenenza al suo mondo culturale e politico di provenienza, con incursioni critiche sul fronte della destra di governo, nel solco degli Scurati e dei Carofiglio ma con toni più sfumati. Perché lui al primo posto mette la narrazione e i suoi lettori non sono confinati in steccati.

Dopo “La tentazione di esser felice”, un altro best-seller con “La vita a volta capita”. Il titolo suggerisce che bisogna prendersi quello che passa dalla vita scacciando via il concetto di “volontà di potenza” nicciana o che “l’uomo è artefice del proprio destino”?

 “Non bisogna prendersi quello che passa la vita, ma bisogna accettarla vita ed esserne grati. Accettazione e gratitudine sono dei concetti cristiani: Cesare Annunziata è uomo di fede ma di Chiesa, non è legato all’accettazione, alla compassione e alla gratitudine ma che ha ben presente, ma pensa che certe volte la vita ti sfugge di mano. Certe volte la vita ti sfugge di mano, si arriva ad un bivio o ad un’occasione e devi saperla prenderla al volo. Un’altra lettura che può esser fatta è quella per la quale ci sono persone cui a volta la vita scorre addosso senza che queste se ne accorgano e non facciano nulla per modificare sè stessi, restano immobili e la vita capita a loro come tante altre cose. Cesare è legato alla prima interpretazione”.

Ritorna Cesare: questa volta che personaggio è rispetto al precedente?

In questo libro, Cesare è cambiato, è più evoluto. Sono passati pochi anni, da 77 a 84. E’ un uomo dotato di grande sensibilità e intelligenza, è un uomo che si pone mille domande e cerca di stare al mondo con interesse, occupandosi di sé e degli altri. E’ una persona in continuo cambiamento seppur alla sua età. Oggi è più consapevole dei suoi limiti, dei suoi sbagli, delle sue scelte e di ciò che vuole. Arrivato alla sua età vuole aiutare gli altri, soprattutto i più giovani, perché soccorrendo gli altri soccorre sè stesso”.

 Cosa si aspettava dalla vita Cesare Annunziata?

 “Cesare non si aspettava nulla. E’ uno di quelle tanto persone per il troppo sentire ma che per il poco coraggio, si è lasciato sopravvivere per gran parte della sua esistenza. Arrivato a 77 anni, si è guardato indietro e ha scoperto di aver mancato l’esistenza, perché non ha scelto quando doveva scegliere, per quieto vivere ha scelto il compromesso, quando doveva dire dei sì ha detto no. Si è ingabbiato da solo e non ha voluto la forza di uscire dalle sue gabbie mentali, fosse il matrimonio fallimentare, un lavoro che ha odiato per tutta la vita. Cesare, nonostante le sue doti, ha vissuto sotto i suoi limiti per pigrizia e ha cercato di combattere questa sua grande sensibilità facendosi cinico. Egoista (anche se dice di aver fallito come egoista perché non è lo è stato fino in fondo). Quando la moglie muore, Cesare apre gli occhi e decide che quello che gli resta da vivere va vissuto degnamente”.

 I ricordi condizionano il proseguo delle nostre esistenze o sono anche strumenti per andare oltre i ricordi?

 “I ricordi servono a costruire il proprio vissuto, sono la memoria che spesso tendiamo a cancellare, ed è terribile, la memoria storica serve a capire quello che siamo stati, quello che eravamo prima e serve ad interpretare noi stessi ed il mondo che viviamo oggi. I ricordi portano la nostalgia, la malinconia che sono forme di tristezza ma anche ‘dolce tristezza’, però sono parte di chi è in evoluzione”.

 I ricordi sono sempre rimpianti?

 “No, non lo sono. Sono tutto ciò che siamo: dolori, gioie. Li terrei separati dai rimpianti che sono quelle cose si instaurano dentro di noi e ti fanno pensare: “se avessi fatto così come sarebbe andata?”. Quello dei rimpianti è un tema centrale del libro: anche io fatico a far pace coi rimpianti, ma sono convinto che quello che abbiamo fatto nella vita era quello che in quel momento potevamo fare. Anche Cesare, in quel momento, poteva fare solo quello”.

Una donna, Iris, smuove la pigrizia di Cesare. Crede che una persona abbia il potere per sviare un’esistenza di rimpianti?

Io credo che nessuno abbia il potere di salvarci o di smuoverci, tutto dipende da noi stessi. Iris arriva nel momento in cui Cesare ha la capacità di scorgere il dolore degli altri: è arrivato ad un’età nella quale sente e non ha paura di sentire. E’ su una panchina e vede subito questa ragazza in difficoltà che si porta dietro un grande dolore. Non è Iris a scuotere Cesare, ma il contrario”.

 Che potere ha l’amicizia o l’amore nei rapporti secondo lei?

 “Il libro è un omaggio a Franco Battiato, che è stato un maestro di vita e che ha sempre cercato un’evoluzione nella sua vita. Lui in una canzone diceva che “tutto l’universo obbedisce all’amore”, che è una grande verità. Lo diceva anche Dante un po’ prima (l’amore che muove il sole e le altre stelle). Ed è così, siamo fatti di questo: la nostra energia vitale è strettamente connessa all’amore, alla nostra capacità di innamorarci, non solo degli altri, ma in senso assoluto. Avere passione, curiosità, confronto, interesse. L’amore e l’amicizia ci tengono in piedi”.

 Quando si capisce che la vita bisogna afferrarla al volo per esser degna d’esser vissuta?

 “E’ un percorso al quale si giunge in maniera soggettiva: alcuni ci arrivano prima, altri dopo. Diceva Luciano De Crescenzo che la vita si vive due volte, la seconda inizia quando ti accorgi che ne hai solo una. Ci sono persone che non ci arrivano mai, non hanno mai il coraggio di guardarsi dentro, di porsi delle domande introspettive perché non hanno la struttura, la cultura, la profondità d’animo per arrivarci ed altri, che pur avendo i requisiti, non lo fanno per il poco coraggio”.

 “Passiamo la prima metà della vita a costruirci gabbie e la seconda metà a tentare di distruggerle”. Secondo lei perché succede?

“Ci costruiamo nella prima parte della nostra vita delle gabbie perché le scelte più importanti della nostra esistenza arrivano nei primi decenni di vita quando non abbiamo un’identità formata, quando siamo presi da altro, quando non sappiamo bene cosa vogliamo dalla vita, quando siamo presi dal costruirci e riempire vuoti, dal raccattare l’amore che spesso non abbiamo ricevuto durante l’infanzia. In questa fase arrivano tante decisioni importanti che poi ti vincoleranno negli successivi e le fai con superficialità o le subisci. Ad un certo punto, arrivi a 40 anni che ti trovi dentro ad un gabbia: alcuni ci restano per sempre e arredano la propria gabbia rendendola più confortevole possibile, ed altri tentano come possono di liberarsi”.

 Che irrefrenabile spreco alcune esistenze. C’è invece da essere incontentabili in vita, grati ma incontentabili”. Secondo lei come si riempie una vita?

 “Alcune vite sono davvero uno spreco, non per tutti il tempo ha un valore assoluto, non tutti hanno la necessità di lasciare un segno al nostro piccolo passaggio terreno o avere la capacità di considerare quanto siamo nulla, non per deprimerci ma cercare di fare la nostra parte. Dobbiamo fare di tutto per cercare la contentezza, la felicità, evolvere migliorare sè stessi ed arrivare a fioritura, così come ad esempio faceva Franco Battiato che ha speso la sua vita nella meditazione. Vivere con spiritualità, agganciati al proprio mondo interiore per diventare nel tempo persone migliori”.

 Qual è il passo-chiave del libro?

 “Io credo che Cesare, pur avendo più di 80 anni, è un personaggio che parla a tutti. I bilanci della vita non si fanno alla fine ma a metà esistenza, perché tutti abbiamo avuto rimpianti e vissuti dolorosi, tutti non abbiamo avuto la forza di reagire, tutti ci poniamo mille domande. Cesare mi permette di trattare quei temi esistenziali che sono parte della mia vita e che la rendono quella che è. Io come Cesare, fatico terribilmente nel quotidiano e con lui porto in piazza le mie ossessioni e discuterne con gli altri. Cesare si preoccupa di portare il suo fallimento ai ragazzi, lui ha interesse a raccontare loro cosa non fare o fare nella vita, cerca di svegliarli. I nodi nella vita arrivano presto, bisogna esser in contatto con sè stessi e vivere pienamente e consapevolmente. Questo è il passo chiave in Cesare parla di quei temi che spesso non vogliamo vedere. Io credo che Cesare sia una di quelle persone che ti prendono, ti scuotono, ti ricordano che sei vivo”.

 

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