Lo scorso 5 agosto è arrivata una sentenza rimasta un po’ troppo sottotraccia: il giudice americano Amit Mehta ha confermato le accuse mosse – da anni – dal Dipartimento di Giustizia americano contro Google. Di fatto, dunque, è stato data per assodata una dinamica messa in evidenza anche dall’Antitrust statunitense: l’azienda, in particolare la sua controllante Alphabet, ha abusato della sua posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca. Big G ha annunciato il ricorso, ma ora rischia veramente grosso: a breve potrebbe essere ordinata la vendita (obbligatoria) del suo motore di ricerca Chrome.
Una storia che ha origini lontane nel tempo. La prima mossa del Dipartimento di Giustizia americano risale al primo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca, ma la sentenza è arrivata proprio negli ultimi mesi della Presidenza Biden. Proprio per questo motivo, a differenza di ciò che è avvenuto con TikTok, ci potrebbe essere un filo comune (più unico che raro) tra le due amministrazioni. Google, dunque, rischia di pagare caro le sue azioni, come quelle di riempire di miliardi di dollari le tasche di Apple a Samsung affinché impostassero Chrome come motore di ricerca predefinito sui loro smartphone.
Ma non è tutto. Un faro è stato acceso anche su Android che, almeno per ora, non dovrà essere venduto. Però, si potrebbe chiedere a Google di rimuovere quel “cordone ombelicale” digitale che unisce il sistema operativo a funzioni (impostate di default) e servizi come Search e Play Store. Dunque, si “rischia” di mettere una toppa a una dinamica evidente da anni.
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