Ci si sarebbe potuti spingere fino al prezzo di 200 milioni di euro per vendere l’area dei Pili. Una cifra precisa, messa nero su bianco. Ma stavolta, quel numero non emerge dal capo d’accusa dei pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini, titolari dell’inchiesta Palude.
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Né dalle carte prodotte dall’imprenditore trevigiano, Claudio Vanin, il grande accusatore ritenuto attendibile da Procura e tribunale del Riesame. Stavolta quel numero – 200 milioni – emerge dal memoriale redatto da Derek Donadini e trovato dagli investigatori all’interno del suo pc, il cui sequestro è stato confermato dal tribunale del Riesame secondo cui gli elementi raccolti dalla Procura inducono «ragionevolmente a ritenere che vi fosse un accordo (illecito) tra le parti, avente ad oggetto l’adozione dei provvedimenti urbanistici ed edilizi indispensabili per l’attuazione del progetto». In ballo c’è sempre la vendita dell’area al magnate Chiat Kwong Ching, con successiva costruzione di un palazzetto.
La cifra compare accanto alla data del 17 ottobre del 2016, durante un pranzo tra gli uomini di fiducia del sindaco Brugnaro (proprietario dell’area tramite Porta di Venezia, pre blind trust), e quindi Morris Ceron e Derek Donadini (entrambi indagati) e lo stesso Kwong, insieme al suo uomo di fiducia in Italia, Luis Lotti. Resta il giallo sulla presenza o meno dello stesso sindaco: la circostanza è emersa anche nell’interrogatorio di Luis Lotti il quale però ha spiegato ai pubblici ministeri di non ricordare se il sindaco fosse o meno arrivato alla fine del pranzo in un ristorante della terraferma.
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Ad ogni modo, annota Donadini, è in quella sede che si sarebbe discusso (anche) di cifre. Per l’accusa, il valore dell’area acquistata a 5 milioni di euro e messa a bilancio a 15, sarebbe poi salito a una somma di 150 milioni dietro promessa del raddoppio dell’indice di edificabilità in consiglio comunale. Come ormai noto, e come ribadito anche dal sindaco Brugnaro nell’ultimo consiglio comunale straordinario, non se ne fece più nulla. Per l’accusa, a causa della richiesta da parte della proprietà di un versamento da 10 milioni di euro a fondo perduto in anticipo sul prezzo di 150 milioni. Per le difese del magnate di Singapore, con tanto di mail datata agosto 2017, perché il modello di intervento preferito da Kwong prevedeva di investire insieme alla proprietà, e non di sostituirsi ad essa.
Ma è sull’accordo o meno tra le parti, e sulle prove che eventualmente saranno portate a supporto dell’una o dell’altra tesi, che si giocherà lo sviluppo dell’indagine che vede indagati il sindaco insieme ai suoi uomini di fiducia, oltre che lo stesso Kwong e il suo braccio destro Lotti.
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Sull’ipotesi della vendita a 200 milioni, contenuta nel memoriale di Donadini e di cui si sarebbe parlato nell’incontro di ottobre, un mese dopo un sopralluogo dello stesso Kwong ai Pili, ecco la replica dell’avvocato Simone Zancani (studio Simonetti): «La circostanza è stata contestata al signor Lotti nel corso dell’interrogatorio il quale ha negato categoricamente che vi sia stato un pranzo nel corso del quale è stata proposta una simile ipotesi di valori, d’altronde lo stesso redattore di quel documento dichiara di andare a memoria e quindi di non avere certezze». Una cifra buttata lì, dunque, non valida per una vera e propria trattativa. Che invece per la Procura c’era stata.