A quanto pare, ridere/sorridere è la cosa che facciamo più spesso nel corso della nostra esistenza (anche di questi tempi?!), eppure il riso e il comico restano per noi un mistero. Su di essi si sono affaticati per oltre due millenni filosofi, letterati e artisti senza venirne a capo.
Non va molto meglio per gli scienziati, se in un libro recente due di essi scrivono che “il riso rappresenta un enigma persistente e ancora irrisolto per le neuroscienze”, nelle quali peraltro ha assunto dignità di studio solo recentemente (Fausto Caruana, Elisabetta Palagi, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale, Il Mulino, 2024).
E tuttavia, i due ricercatori (neuroscienziato l’uno, etologa l’altra), se non proprio a risolvere una volta per tutte il mistero, ambirebbero almeno a fornire delle chiavi scientificamente fondate per dissipare equivoci e false certezze accumulatisi nei secoli sull’argomento.
“Per secoli e secoli sulla risata sono circolate due assunzioni che […] pensiamo siano totalmente sbagliate e che hanno bloccato la strada ad ogni progresso. La prima è che la risata è un comportamento unicamente umano e, quindi, che gli altri animali non ridano. La seconda è che la risata è qualcosa di strettamente connesso allo humor” (p. 10).
Gli autori passano rapidamente in rassegna le varie teorie proposte nel tempo, raggruppandole in tre principali: teoria della superiorità, dell’incongruenza e del sollievo (denominazioni sufficientemente chiare per poter evitare di aggiungere spiegazioni), e arrivano alla conclusione che esse “non sono vere teorie del riso, ma teorie su quelli che potremmo chiamare gli antecedenti cognitivi del riso, cioè teorie dello humor” (p. 23).
In effetti, sembra dimostrato che il divertente o l’umoristico incida nelle nostre risate per poco più del 20% e quindi non può essere tirato in ballo per spiegare perché ridiamo.
Per rispondere a questa domanda occorre uscire dall’ottica antropocentrica che ha sempre caratterizzato gli studi sul riso e prendere atto che, contrariamente a quanto sostenevano Aristotele e tanti altri dopo di lui, esso non è una prerogativa esclusiva dell’animale umano. Gli studi etologici hanno ormai dimostrato ampiamente che anche gli animali non umani ridono e sorridono. Non soltanto le grandi scimmie, nostri diretti antenati, ma molte altre specie, ratti compresi (p. 52). E dal momento che, per ora, non si hanno evidenze del fatto che i ratti siano dotati di sense of humor, occorrerà accedere a un’altra spiegazione, naturalistica ed evoluzionistica, basata sulle risultanze tanto delle ricerche etologiche quanto delle indagini di neurofisiologia.
Quello degli animali – spiegano Caruana e Palagi – è un riso “affiliativo”, che ha la funzione di intensificare i legami fra i membri del gruppo e regolare i rapporti al suo interno in modo positivo, fornendo altresì un piacere specifico, al pari del gioco. Insomma, per dirla con una battuta, gli animali non ridono perché si divertono ma si divertono perché ridono (e giocano). Mutatis mutandis, questa ipotesi può essere estesa anche agli animali umani: “il ruolo primario della risata umana […] è quello di stabilire e rinforzare legami sociali, promuovendo l’affiliazione e segnalando intenzioni positive durante le interazioni sociali” (p. 28).
Tutto lascia supporre che il riso affiliativo, insomma la risata sociale, sia apparsa molto presto nell’Homo Sapiens, decine di migliaia di anni fa, prima del linguaggio verbale. Quanto invece all’umorismo, non possiamo datare con precisione la sua origine, ma certamente esso è apparso molto dopo, in tempi già storici, forse come una specializzazione evolutiva del riso sociale, fortemente determinata dal punto di vista culturale. Questa almeno è l’ipotesi degli autori, formulata appoggiandosi a studi recenti sulle basi neurali dell’humor.
Giunti alla fine del volumetto, e alla sua conclusione che “l’interazione sociale è davvero il codice d’accesso ai segreti del riso” (p. 154), ci rendiamo conto che indagare le basi biologiche della risata spiega, forse, perché ridiamo al pari di altre specie, ma dice ancora molto poco, quasi nulla, sul perché faccia ridere una barzelletta di Woody Allen o una gag di Chaplin. Insomma, il segreto del comico resta ben custodito e lo sarà ancora a lungo. E forse non c’è nemmeno da augurarsi che possa essere svelato un giorno.
L'articolo Perché ridiamo: un’indagine scientifica alle radici della comicità proviene da Il Fatto Quotidiano.