C’è da fare i conti con una realtà che sta strappando le pagine dei libri di scuola e mandando in frantumi banchi e sedie. Le immagini sono eloquenti: incendi appiccati, muri imbrattati, aule devastate. E non si tratta di episodi isolati. Le occupazioni studentesche stanno portando il caos nelle scuole italiane, da Roma a Milano, da Firenze a Bologna. Un’ondata con conseguenze importanti: milioni di euro da spendere in riparazioni e giorni di lezione persi.
Tutto è cominciato con le parole del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha promesso misure più severe per chi «mette a rischio le scuole». Poi, con una circolare del febbraio scorso, ha disposto il «chi rompe paga». E gli studenti sembrano aver scelto di sfidare le autorità. Sul sito più seguito dagli adolescenti, Studenti.it, è comparso anche il manuale dell’occupazione: «Istruzioni per l’uso». «Quando arrivano i professori e trovano le porte chiuse e viene loro comunicato che la scuola è occupata. Insomma resteranno fuori». Il sito però invita a mantenere la calma: «Va messa al bando l’inciviltà e fatto valere il principio che chi rompe paga». È il passaparola nei collettivi studenteschi a preoccupare. Gli studenti dichiarano di opporsi a un sistema politico e scolastico «nemico» della loro generazione e responsabile di guerre, genocidi e miseria a livello globale. Parlano di «pace» ma praticano la guerriglia scolastica.
La prima occupazione di carattere politico è partita dal Liceo classico Pilo Albertelli di Roma, nel quartiere Esquilino, dove tuttavia gli studenti sembrano aver trovato un accordo con la dirigenza scolastica. Alcuni ragazzi, guidati dal collettivo Metamorfosi, sono entrati nell’edificio e hanno appeso a una delle finestre uno striscione per avvertire tutti che il «Pilo» era «occupato». E accanto hanno calato una bandiera palestinese. «Ci siamo incontrati e abbiamo concertato con gli studenti la possibilità di dare forma e consistenza a quello che chiedono, attraverso un momento di occupazione, che però sia limitato», ha spiegato la dirigente Rosa Palmiero. La capitale sembra essere il cuore di questo «movimento». Al Liceo Gullace, un incendio, scoppiato durante una delle occupazioni, ha devastato una succursale, rendendola inagibile. Danni stimati? Almeno 1,2 milioni di euro. Ma i numeri continuano a crescere. Non è solo il Gullace. C’è il Ripetta (il 20 ottobre ), il Manara (il 28 ottobre). L’elenco si allunga di settimana in settimana. Scontri con la polizia, aule in fiamme, un ragazzo ferito. Al Liceo Righi la lotta studentesca è diretta contro la preside, Giulia Orsini, che da quest’anno ha preso le redini dello Scientifico. Il collettivo Ludus Righi l’ha presa di mira dopo una controversa iniziativa a sostegno dei palestinesi.
Le accuse: «Dal primo giorno che ha messo piede nella nostra scuola ha apportato significativi cambiamenti. Dalle gite alle assemblee, dalle finestre allucchettate al metodo elettorale. Vuole rendere la nostra scuola una caserma». Occupato anche il Liceo Artistico Enzo Rossi di via del Frantoio. Qui il collettivo se la prende con il governo «guerrafondaio e repressivo». Il dirigente scolastico Enrico Battisti si è visto costretto a informare le autorità competenti e a chiedere ai genitori di «prendere contatto con i propri figli per verificare le condizioni di ognuno, poiché il personale non è in grado di esercitare la vigilanza». La maggior parte dei collettivi studenteschi romani, che normalmente animano l’autunno caldo, è a capo di quello che nelle chat chiamano il «No Meloni day». E la strategia ipotizza che il grosso delle proteste verrà messo in scena dopo la manifestazione di piazza del 15 novembre, sostenuto da Cgil, Fiom, Anpi e Libera.
La situazione è simile al Nord. Milano è stata scossa da un episodio analogo a quello di Roma: l’Istituto Severi-Correnti ha subìto danni enormi: 70 mila euro di materiali distrutti, molti dei quali provenienti dai finanziamenti del Pnrr. La dirigente scolastica, Gabriella Conte, ha dovuto lanciare sul portale della Pubblica istruzione una raccolta fondi per rimettere in sesto la struttura, con tanto di elenco dei lavori urgenti: dalla pulizia dell’edificio all’acquisto di notebook distrutti e di arredi danneggiati. E che dire di Genova, dove l’occupazione del Liceo Colombo e del Pertini-Diaz si è trasformata in una sorta di richiamo ideologico al G8 del 2001? Richiamo, va detto, ben lontano dalle necessità degli studenti. E per i danni al Pertini il conto è salato: 26 mila euro addebitati alle famiglie dei violenti che hanno danneggiato arredi, imbrattato pareti e compiuto atti vandalici. Anche a Firenze e Torino, ancora problemi. Le occupazioni si susseguono con una rapidità che ha preso alla sprovvista istituzioni e famiglie. Liceo Machiavelli Capponi, Liceo Alberti Dante, Liceo Einstein. Più la lista si allunga più cresce il prezzo che la società dovrà pagare. La scena al Belluzzi Fioravanti di Bologna è tra le più brutali: studenti che aprono estintori, lanciano banchi dalle finestre, rubano computer. Un’ala dell’edificio è stata letteralmente sventrata. I danni? Decine di migliaia di euro. «C’è un senso di impotenza tra i dirigenti scolastici» dice a Panorama Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi di Roma. Non si tratta di una lamentela, ma di un appello drammatico per riportare ordine.
Rusconi parla di una «minoranza rumorosa», il 10-15 per cento degli studenti, «che però riesce a bloccare l’intero sistema scolastico, lasciando a casa i ragazzi che vorrebbero solo continuare a studiare». Per anni i presidi hanno chiesto l’intervento delle Forze dell’ordine, un intervento che non sia ugualmente violento ma fermo. E Rusconi lancia una proposta: identificare i responsabili e stabilire chi risarcisce i danni. «Perché se rompi qualcosa, devi rispondere delle tue azioni», afferma. L’idea è radicale, ma ha senso: perché a pagare, fino a oggi, sono stati i contribuenti. Il punto non è solo fermare le occupazioni, ma mettere in chiaro che la scuola va rispettata. Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola, sulle occupazioni ha da sempre un’idea precisa: «È una pratica deprecabile, tutta italiana, una perdita di tempo che, tra l’altro, interessa 20 scuole all’anno su un totale di ottomila. Le occupazioni non hanno ragion d’essere. Ben vengano tutti quegli interventi pensati per farle a poco a poco svanire».