Come dare il colpo di grazia a un settore che è già fortemente penalizzato di suo. Ci raccontiamo da tempo che l’editoria è in crisi. Esistono persino fondi che cercano di supportarla, sulla base di bandi che – molto spesso – prevedono lunghi sforzi per una partecipazione che, il più delle volte. faticherà a dare dei frutti. Inoltre, anche quando i contributi all’editoria vengono “conquistati” dai giornali online, le tempistiche dei versamenti da parte della pubblica amministrazione faticano a coincidere con la necessità di investire delle risorse praticamente in real time per stare al passo con lo sviluppo tecnologico. È un circolo vizioso già di suo. Aggiungiamoci, poi, che – con questa legge di bilancio – i giornali online potrebbero essere ulteriormente tassati, a prescindere dal loro fatturato. La Digital Service Tax, al momento, prevede il pagamento del 3% dei ricavi (e non degli utili) per tutte le aziende (anche piccole e medie imprese) che operano sul web, eliminando quelle soglie molto alte che, in passato, permettevano di applicare la tassazione esclusivamente alle grandi aziende Big Tech. Se le cose, al 31 dicembre, dovessero restare così, l’informazione online sarebbe tra i settori maggiormente penalizzati da questa scelta del governo Meloni.
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Non è un caso, ad esempio, che la Fieg (la Federazione italiana degli editori di giornali) abbia fatti sentire la propria voce, cercando di esercitare pressione in vista dell’approvazione definitiva della legge di bilancio: «Con l’estensione della platea dei contribuenti l’epilogo della Web Tax – fanno sapere dalla Federazione – è paradossale: si colpiscono tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole ad una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del web».
Effettivamente, è proprio così. In questo momento, a livello di servizi digitali, gli unici che possono “permettersi” di pagare più tasse sono i colossi di Big Tech. Questi ultimi, anche sfruttando il lavoro degli editori italiani (non solo quelli più grandi, ma anche quelli indipendenti) stanno cercando da tempo di sostituirvisi. Ne abbiamo parlato anche qualche giorno fa, a proposito della scelta di Google di avviare un esperimento che impedirà all’1% dei suoi utenti di visualizzare risultati di testate giornalistiche online nel corso delle loro ricerche sul web. Lo abbiamo sempre detto a proposito di Facebook, che ha in qualche modo rafforzato il principio della raccomandazione del contenuto illudendo (un tempo) gli editori digitali di avere maggiore visibilità e scegliendo, ora, di penalizzare i link esterni quando si tratta di news. L’obiettivo è sicuramente quello di fare in modo che giornalisti e produttori di contenuti scrivano le notizie direttamente sui social network. Gratis, o poco meno.
Invece di andare a colpire più duramente questo atteggiamento messo in piedi, principalmente, da aziende con sede all’estero, il sovranissimo governo nazionale pensa che possa essere una buona idea estendere la tassazione anche agli editori digitali con sede in questo Paese. Con tanti saluti al made in Italy. C’è ancora tempo per correggere questo vero e proprio cortocircuito normativo. L’editoria digitale italiana è già in stato comatoso. Il 3% di tasse sui ricavati potrebbe rappresentare un colpo di grazia insostenibile.
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