«È stata fra le più belle settimane di allenamento da quando sono arrivato, il gruppo ora è più unito che mai, sa che è una lotta vita o morte per la salvezza. Ora la squadra deve dimostrarlo già contro una squadra forte come la Feralpi». Queste erano le sensazioni di mister Clotet alla vigilia. Bastava vedere il suo modo di vivere la partita lunedì sera nella parte alta della tribuna del Turina per capire che qualcosa non ha funzionato.
Anzi per capirlo è bastato osservare i primi 45’ e anche meno delle evoluzioni degli alabardati sull’erba in riva al Garda. La premessa è che nessun umano di senno si aspettava che la Triestina venisse a maramaldeggiare a Salò. In quello stadio finora non si è inchinato il solo Novara alla prima di campionato. La squadra di Diana è più forte, tanto più forte della Triestina soprattutto come amalgama collettiva e i 22 punti di differenza in classifica ne sono la più evidente testimonianza. Quello che lascia perplessi o delusi è l’approccio della Triestina alla gara con il suo mister distante dalla panchina per il fattaccio con Krollis. Atteggiamento molle, pochi falli, una sola ammonizione presa a partita morta non sono le caratteristiche di un gruppo con l’acqua alla gola e che è consapevole di esserlo. Vabbè, magari gli alabardati si sono risparmiati in vista di test più alla loro portata. Non è questo quello che chiedono i tifosi e soprattutto l’allenatore. E poi. anche contro compagini più attrezzate, ci si allena mentalmente a trovare continuità pur se non si trova il risultato. Gli errori tecnici a Salò ci sono stati e sono stati anche macroscopici. Gli infortuni dei giocatori pesano tanto e non sono certo ascrivibili alla responsabilità di Clotet ma piuttosto auna preparazione svolta in tre tranche (è la società ad aver sbagliato le scelte) o per l’arrivo di uomini come Frare già sofferenti da mesi.
Tuttavia schierare a sinistra una catena formata da Bijleveld e Jonsson (con Moretti centrale da quella parte) è stato un suicidio al di là dell’ottima performance del gardesano Pietrelli (poco più che un ragazzino). Così come non è stata azzeccata l’insistenza a voler far gravitare il gioco d’attacco sulle spalle (o gambe) al momento debolissime di Cristian D’Urso. Per il resto davanti non c’era altro che Vertainen e al centro della difesa idem con Struna e a lato Germano (messo in campo con gli antidolorifici).
Un po’ meglio è andata con l’ingresso di Olivieri che davanti ci mette energia. C’erano alternative? Pochissime ma nonostante i limiti Vallocchia da terzino sinistro ha giocato qualche partita meglio dello spaesato olandese. E poi dove è finito El Azrak, forse uno dei migliori o dei meno peggio visti prima dell’arrivo di Clotet e da settimane relegato in panchina? Il tecnico vede i giocatori ogni giorno e nessuno meglio di lui sa le loro condizioni e il loro utilizzo tattico. Ma il catalano aveva anche visto in settimana un gruppo reattivo. Il fatto è che quando si gioca contro un avversario in campionato la musica cambia. E la depressione che sembrava svanita al Grezar si materializza. Questa Triestina ha prima di tutto bisogno di segnare e vincere qualche gara. Purtroppo crea pochissimo (domenica quasi niente) e non tira. Con le formazioni meno strutturate dà l’impressione di giocarsela ma non riesce mai ad andare in vantaggio e questo, specie in C, è un guaio. Come un guaio è il calendario che lascia poco spazio alla possibilità di fare punti a parte venerdì con il Renate. Ma se i giocatori e lo staff non ci mettono un po’ di verve non si vince nemmeno contro una squadra di D. —