C’è voluto, poco, pochissimo: una manciata di ore appena. La Sezione seconda del Consiglio di Stato ha pronunciato infatti in sede giurisdizionale, la sera stessa dell’udienza a Palazzo Spada, martedì, la triplice ordinanza sulla richiesta di sospensiva invocata dal Comune di Monfalcone. Richiesta per “congelare”, fino alla sentenza nel merito, gli effetti del verdetto di primo grado emesso il 27 giugno dal Tribunale amministrativo regionale. Un esito che aveva sconfessato la linea da un anno a questa parte portata avanti all’amministrazione e che da quella data aveva consentito, fin qui, ai centri culturali islamici Darus Salaam e Baitus Salat di allestire la preghiera collettiva su più turni in centro e in via Primo maggio. Tre, le ordinanze. Perché pur se procedimenti separati, il collegio ha trattato congiuntamente anche il contenzioso sul piazzale dell’ex Hardi ad Aris.
I giudici (presidente Vito Poli, estensore Alessandro Enrico Basilico, consiglieri Carmelina Addesso, Maria Stella Boscarino e Stefano Filippini) hanno «accolto» dunque l’istanza dell’ente, assistito dall’avvocata Teresa Billiani, riconoscendo due requisiti necessari, il cosiddetto fumus boni iuris (parvenza di un buon diritto) e il periculum in mora (pericolo di un ritardo), due presupposti cruciali per l’emissione di provvedimenti cautelari e per questo hanno stabilito una sollecita definizione dell’atteso giudizio nel merito, fissando già all’11 febbraio la sua trattazione in udienza pubblica e con spesa da definirsi al grado definitivo di giudizio. Tradotto: Palazzo Spada ha ritenuto siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili – appunto con una seduta in tempi brevi rispetto alla prassi, che può vedere un ricorso pendente anche per anni – le questioni sollevate dall’appellante Comune, fissando la data in questione.
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Proprio i richiami ai presupposti dell’esistenza di un possibile diritto, pur in mancanza di un accertamento definitivo, e al ritardo nell’eventuale adempimento che avrebbe potuto rappresentare un “pericolo” per una delle parti in causa, portano il Comune a ben sperare, nel convincimento di aver segnato un punto importante nella globale partita. L’eurodeputata Anna Cisint, in prima linea su questo fronte, da Bruxelles fa recapitare il suo commento di «grande soddisfazione», forte del fatto che «i giudici abbiano compreso le ricadute sul piano regolatore e anche la questione da noi sollevata della sicurezza».
Temi con al centro le destinazioni d’uso degli immobili utilizzati dai centri islamici, per l’ente non conformi col vigente Prgc, dopo gli accertamenti condotti dai vigili sul rispetto delle norme edilizie e urbanistiche. Sotto il profilo legale, per l’amministrazione, «i motivi posti alla base del gravame avanzato dal Comune sono meritevoli dell’approfondimento proprio della fase di merito». «In questo modo – sempre Cisint – esce rafforzata, in attesa del giudizio definitivo, la linea di legalità condotta fin qui e trova conferma anche la serietà e correttezza del nostro operato che ha riguardato la salvaguardia dell’ordinamento giuridico del Paese e la tutela di tutti i monfalconesi.
Le norme devono essere rispettate da ciascuno senza privilegi, inammissibili. Sia si rivolgano a semplici cittadini o alle associazioni islamiche. Il piano regolatore non è carta straccia: l’utilizzo di immobili in modo difforme da quanto stabilito e consentito ha riflessi insostenibili per la città, per l’intera comunità, perché crea problemi di accessibilità e vivibilità urbana». Qui Cisint ricorda «la petizione sul proliferare di bici in prossimità dei marciapiedi dei centro». E quindi la stoccata politica: «La pronuncia del Consiglio di Stato è anche una risposta a quegli esponenti della sinistra e ai consiglieri regionali più radicali, mai dalla parte degli italiani».
Fin qui il Comune. Questo invece il pensiero dei centri, assistiti dall’avvocato di fiducia Vincenzo Latorraca, che parla di «vittoria per metà del Comune»: «Il Collegio ha applicato l’articolo 55 comma 10 del Codice del processo amministrativo. La norma prevede che il giudice, in sede cautelare, “se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel merito”». Ma «l’efficacia della sentenza del Tar non è stata sospesa», perché la domanda cautelare è accolta «ai soli fini dell’articolo citato, vale a dire della fissazione della discussione del merito». A febbraio. «Il Consiglio di Stato ha ritenuto, da un lato, che i motivi di gravame siano da approfondire nel merito e, dall’altro, il bilanciamento degli interessi è assicurato dall’udienza pubblica a breve – conclude –: l’ordinanza si mostra dunque equilibrata e non pregiudica, in alcun modo, le ragioni delle associazioni che attendono senza timori la discussione». Che la vicenda si possa risolvere in tempi celeri rende quindi soddisfatta anche la parte che aveva vinto in primo grado, al Tar: «Si può continuare a pregare».