Le faide interne, le letture autoassolutorie, gli allarmi iperbolici lanciati dai giornalisti d’area. E, su tutto, la sensazione che manchi totalmente una bussola. Alle prese con la sconfitta, i democratici americani hanno preso tutte le sembianze della sinistra nostrana, tanto da far sembrare che il campo largo alla fine si sia esteso a tal misura da diventare transoceanico. Si attende il discorso che Kamala Harris terrà alla Howard University di Washington alle 16 ora locale, dunque nella notte italiana, per capire quale indirizzo la candidata americana vorrà dare al suo intervento. Le anticipazioni fanno supporre che mostrerà affranta, ma istituzionale lanciando un appello ai suoi sostenitori affinché accettino l’esito del voto. I primi ad avere difficoltà a mandarlo giù, però, sono quelli che occupano le prime file dem, politiche e d’opinione.
Un funzionario della campagna di Kamala Harris, intervistato dalla Cnn dietro anonimato, ha detto che ”Biden ha molte responsabilità per questa” sconfitta elettorale. E ”francamente dovrebbe assumersi le sue responsabilità”. Una presa di posizione che, secondo quanto emerso, ha dato voce al malcontento di molti. Innanzitutto, al presidente uscente viene contestato di aver cercato una rielezione per un secondo mandato, piuttosto che aver mantenuto la promessa fatta durante la campagna elettorale del 2020, quando si era presentato come un presidente di “transizione”. I democratici ritengono infatti che, se da subito Biden avesse deciso di non ricandidarsi, ci sarebbe stata una competizione serrata alle primarie per scegliere il nuovo candidato, che avrebbe avuto più chance da giocarsi. Il funzionario citato dalla Cnn ha lamentato che il partito democratico non sarebbe stato messo in condizione di decidere se la vicepresidente fosse davvero la candidata più forte da presentare contro Donald Trump. Alla fine, la corsa di Harris di pochi mesi verso il giorno delle elezioni è stata “la campagna di Biden con nuovi poster”, ha detto l’anonimo dem, di fatto assolvendo una classe dirigente che, comunque la si voglia vedere, non è stata capace né di imporsi né di agire in modo più tempestivo rispetto al ritiro di Biden. Ma, si sa, da certe parti le responsabilità sono sempre quelle degli altri.
Un altro elemento che accosta in modo poco lusinghiero i dem americani ai nostri è la reazione dei grandi giornali che li sostengono. Uno su tutti: il Washington Post. In un editoriale scritto dopo l’annuncio della vittoria di Trump, si legge che “un movimento con elementi fascisti sarà presto al potere nel Paese. Siate allarmati, e iniziate ad agire di conseguenza. Accogliere Donald Trump sarebbe un errore immenso”. Questa nuova presidenza Trump “sarà probabilmente ancora più estrema, radicale e crudele nei confronti dei nemici ideologici e politici, in questo secondo mandato di quanto non lo sia stata nel primo”, si legge ancora nel pezzo, secondo il quale “che si consideri il movimento che Trump rappresenta come fascista, autoritario, populista, cristiano, nazionalista o solo repubblicano dei giorni nostri, la cosa più importante è capire che avrà un effetto reale, dannoso per milioni di persone. E se non si rischia di essere deportati, comunque si rischia di vivere in un paese che fa passi indietro, diventa meno multiculturale, equo, e libero di quanto non fosse prima della sua ascesa”. Quindi, l’appello: “Dobbiamo resistere, ancora”. Ricorda qualcosa?
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