La proposta è stata depositata a luglio e mercoledì 2 ottobre è stata presentata in conferenza stampa alla Camera dei deputati. Ma cosa prevede questa iniziativa per introdurre – in modo molto più strutturato rispetto a ciò che accade ora – il “diritto alla disconnessione” (relativamente al mondo del lavoro) in Italia? Il testo indica le dinamiche e gli obblighi – anche a livello di comunicazione e trasparenza – da parte dei datori di lavoro. Fa riferimento ai contratti di lavoro, anche per quel che riguarda i lavoratori autonomi.
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La proposta di legge, che sarà discussa (quando sarà calendarizzata) partendo dal Senato, si compone di sette articoli che vanno dalle definizioni, passano per le indicazioni tecniche sull’applicazione dei princìpi legislativi e arrivano alle sanzioni a carico dei datori che non applicano la norma. Ed è proprio l’articolo 1 del testo che disegna il perimetro di azione:
«La presente legge è volta a disciplinare le modalità di esercizio del diritto del lavoratore alla disconnessione dagli strumenti di comunicazione telematica e a non svolgere mansioni o ricevere comunicazioni al di fuori degli orari stabiliti dal contratto di lavoro».
Dunque, parliamo della definizione – per legge – del cosiddetto diritto alla disconnessione applicato al mondo del lavoro. Qualora fosse approvata questa legge, sarebbero ben definiti i confini temporali in cui un lavoratore può ricevere comunicazioni inerenti la propria attività lavorativa.
Gli elementi principali della proposta di legge, arrivano nei tre commi che costituiscono l’articolo 3, ovvero quello dedicato interamente al principio del diritto alla disconnessione. Il primo punto spiega:
«Fatte salve le eventuali previsioni più favorevoli dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, il lavoratore ha diritto di non ricevere comunicazioni dal datore di lavoro o dal personale investito di compiti direttivi nei confronti del lavoratore stesso al di fuori dell’orario ordinario di lavoro previsto dal contratto di lavoro applicato e, comunque, per un arco di tempo minimo di dodici ore dalla cessazione del turno lavorativo».
Il comma 2, invece, fa riferimento agli obblighi (che saranno, di fatto, cancellati) del lavoratore nei confronti del datore di lavoro o dell’azienda per cui lavora:
«Le comunicazioni inviate al di fuori delle fasce orarie di cui al comma 1 non comportano alcuna obbligazione per il lavoratore e, laddove inviate per motivi di necessità o urgenza, devono essere motivate; in tali casi il lavoratore è tenuto alla lettura e ai conseguenti adempimenti solo alla ripresa dell’orario di lavoro ordinario».
Una sorta di cartello con su scritto “non disturbare”. Ma un altro elemento molto importante è spiegato nel comma 3 dello stesso articolo:
«L’eventuale prestazione lavorativa comunque prestata in conseguenza delle comunicazioni di cui al comma 2 è considerata lavoro straordinario ed è regolata secondo le previsioni dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale applicabili in relazione al settore di attività di riferimento».
Dunque, qualora venisse richiesto di lavorare fuori dal proprio turno di lavoro, quell’attività deve essere considerata e pagata come prestazione straordinaria.
Proseguendo nella lettura del testo, troviamo l’articolo 5 che obbliga le aziende (con più di 15 dipendenti) a fornire strumenti digitali ai propri dipendenti per le comunicazioni. L’articolo 6, invece, si occupa degli obblighi di trasparenza dei datori di lavoro nei confronti del lavoratore. Anche a livello comunicativo: chi lavora deve essere messo al corrente dell’esistenza del “diritto alla disconnessione”, ricevendo una copia della legge e firmandola. Insomma, si parla di consapevolezza. E chi non rispetta questa legge (qualora fosse approvata) rischia pesanti sanzioni, come quelle previste dall’articolo 7:
«In caso di violazione delle disposizioni dell’articolo 3 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 euro a 3.000 euro per ciascun lavoratore interessato».
Se questo vale per chi non applica questa norma, ci sono anche sanzioni per chi non comunica al lavoratore la possibilità di avvalersi di questo diritto.
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