Nell’interrogatorio hanno negato tutto, sostenendo che mai e poi mai avrebbero fatto del male a dei profughi, anche perché pure loro lo sono. Ma la Squadra mobile ha raccolto prove sufficienti per inchiodare i due pachistani arrestati nelle notte tra domenica e lunedì: sono il ventiseienne Muhammad Aleem e il ventiduenne Muhammad Zaid, quest’ultimo già ai domiciliari per droga.
La coppia di stranieri aveva rapito e sequestrato tre giovani indiani arrivati a Trieste dalla rotta balcanica. I due li avevano picchiati, minacciati con i coltelli e nascosti in una stanza chiusa a chiave all’interno di un appartamento al primo piano di via della Fabbrica 4, piccola trasversale di via Settefontane, pretendendo dai famigliari un riscatto di 15 mila euro per la loro liberazione.
L’indagine del pm Lucia Baldovin, che ha aperto un fascicolo per “sequestro di persona a scopo di estorsione” (pena minima 25 anni di carcere), ha acceso un’ulteriore lampadina sul traffico di esseri umani. C’è un nuovo sistema criminale che ha ramificazioni pure a Trieste, tappa finale della rotta balcanica, come già avvenuto in tempi recenti e come dimostrato anche con la tratta delle donne cinesi?
L’inchiesta ha già accertato che il rapimento dei tre indiani è l’ultimo anello di un racket gestito da pachistani fin dalla Bosnia. L’indagine racconta anche dell’altro: i trafficanti, in questo caso essi stessi migranti giunti dalla rotta balcanica, non agiscono a caso. Forniscono auto, alloggi. Danno indicazioni sui luoghi. Dopo il confine, infatti, i tre stranieri sono stati istruiti: dovevano recarsi in piazza Libertà. Poi sono stati rapiti in piazza Oberdan. Il gip Massimo Tomassini ha convalidato l’arresto e applicato la misura cautelare in carcere per entrambi.
I tre indiani approdano a Trieste domenica, dopo aver varcato il confine, grazie all’aiuto di un pachistano che aveva fornito indicazioni per raggiungere la stazione. In piazza Libertà (zona presidiata dalle forze dell’ordine e dall’Esercito) i tre migranti vengono fatti salire su un furgone e portati in piazza Oberdan. Qui incontrano il complice pachistano che si dice disponibile a offrire ospitalità: è l’appartamento al primo piano di via della Fabbrica 4. Una trappola: quindo i tre entrano nell’alloggio hanno dinnanzi i rapinatori, armati di coltelli che li costringono a telefonare ai famigliari.
L’indagine menziona un giro di telefonate in lingua punjabi (parlata sia in India che in Pachistan) tra i componenti del racket, le vittime e i loro parenti: si fa riferimento al sequestro, al riscatto (5 mila euro a testa) e al fatto che i tre indiani sono stati picchiati. Spuntano utenze inglesi, slovene e contatti a Dubai. Viene avvisata la madre di uno dei tre: una donna indiana che abita a Cremona. Lei non perde tempo: capisce il pericolo, chiama il 112. Ma, stando a quanto racconta la donna, sarebbe stata invitata dalle forze dell’ordine a recarsi fisicamente a Trieste per la denuncia. Circostanza che, se confermata, scoperchia una falla nei sistemi di emergenza. La signora prende il treno e raggiunge la nostra Questura.
Gli agenti incrociano i dati delle utenze e passano al setaccio le telecamere del centro. Le immagini e le celle telefoniche di piazza Libertà, Oberdan e della zona di Barriera portano in via Settefontane e quindi nella palazzina di via della Fabbrica. Gli agenti si appostano. In piena notte fanno irruzione e arrestano i sequestratori. —