Demenza e declino cognitivo, i mostri in agguato sotto il letto inquietano il sonno degli italiani. Non è un caso se nove su 10 di noi sono preoccupati che se stessi o un proprio caro possa soffrire in futuro di disturbo cognitivo o di demenza: è quanto emerge da un’indagine condotta dall’istituto Emg Different’ su un campione di 1000 italiani tra i 24 e i 75 anni, La ricerca è stata presentata a Milano nel corso dell’evento “Declino cognitivo e demenza: quanto ne sappiamo, cosa stiamo facendo e quale impatto sulla società e sul Servizio sanitario nazionale”, promosso da Neopharmed Gentili nel mese dedicato all’Alzheimer, la forma più diffusa di demenza.
Non solo. La posizione della Società italiana di Neurologia in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer, che cade il 21 settembre, è molto chiara in proposito, e in un certo senso rassicurante, perché per quanto lo scenario che si apre, stante analisi e indagini demoscopiche, non sia proprio il massimo a cui aspirare, le contromisure in campo sono valide e mirate. Ma partiamo dall’inizio, o meglio, dalle cause che inducono a riflettere sul problema che si prospetta e sulle prospettive che si presentano.
A fare il punto è la Sin, la Società italiana di Neurologia, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer che si celebra il 21 di settembre e della riunione del G7 sulle demenze prevista ad Ancona l’8 di ottobre. Un punto che esplicita chiaramente: a causa del rapido invecchiamento della popolazione in Italia, «si prevede che il numero di persone affette da demenza quasi triplicherà entro il 2050, passando da 1,2 milioni nel 2019 a oltre 3 milioni, con costi stimati diretti fino a più di 60 miliardi di euro. L’aumento dell’aspettativa di vita inoltre determinerà un aumento delle persone affette da demenza nei paesi a basso reddito e in povertà».
E ancora. «Negli ultimi anni diversi studi hanno sottolineato come lo sviluppo di una demenza e soprattutto della Malattia di Alzheimer non sia inevitabile. Infatti, intervenire sui fattori di rischio modificabili, a partire dall’infanzia e continuando per tutta la vita, potrebbe prevenire o ritardare di molti anni quasi la metà dei casi di demenza – prosegue la Sin –. Anche se in Italia le persone vivono più a lungo e a parità di età si ammalano meno rispetto a 30 anni fa, il numero di persone affette da demenza è destinato ad aumentare in virtù dell’invecchiamento della popolazione. Ciononostante, il potenziale per prevenire e gestire meglio la demenza è elevato se si interviene per contrastare i fattori di rischio, anche nelle persone con un elevato rischio genetico di demenza».
Non solo. Sulla base di recenti prove, «sono stati individuati due nuovi fattori di rischio: elevati di lipoproteine a bassa densità (Ldl) o colesterolo “cattivo” nella mezza età. E la perdita della vista non trattata in età avanzata – ricordano i neurologi –. Questi nuovi fattori di rischio si aggiungono ai fattori di rischio precedentemente identificati dalla Lancet Commission nel 2020 (bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, resistenza all’insuline e diabete, consumo eccessivo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale), che sono collegati al 40% di tutti i casi di demenza.
Oltre a questi, tuttavia, «devono essere tenuti in considerazione anche la contaminazione e sofisticazione degli alimenti, le alterazioni del microbiota intestinale e orale, i disturbi del sonno, le infezioni da Hsv e probabilmente l’invecchiamento immunitario o immunosenescenza». Eppure, «ridurre il rischio di avere un decadimento cognitivo invecchiando, o addirittura di sviluppare una malattia grave come l’Alzheimer, si può.
Basta seguire le 12 raccomandazioni elencate dall’Organizzazione mondiale della sanità sugli stili di vita che tutti noi dovremmo seguire». Come conferma all’Adnkronos Salute Sandro Sorbi, past president Associazione italiana ricerca Alzheimer e direttore di Neurologia I presso l’Azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze, in occasione della conferenza stampa per il decennale di Fondazione di Airalzh Onlus, al ministero della Salute a Roma.
«Innanzitutto occorre fare attenzione all’alimentazione e l’Oms fa riferimento alla nostra dieta mediterranea – sottolinea Sorbi –. Se non si riesce a seguire la dieta mediterranea, in alternativa c’è una dieta comunque equilibrata. Un altro aspetto molto importante è l’attività fisica moderata giornaliera che migliora le risposte ai test di memoria e riduce il rischio di avere decadimento cognitivo. Circa mezz’ora al giorno di camminata a passo veloce, oppure un’attività in giardino e 2 volte alla settimana un’ora di attività fisica più intensa, non sono impossibili, tutti noi possiamo fare queste cose».
Altre raccomandazioni indicano: «Il controllo della pressione arteriosa e della glicemia, perché è ben documentato che se non ben curato il diabete comporta un rischio maggiore di sviluppare problemi cognitivi» o addirittura di sviluppare l’Alzheimer. Per Sorbi «obiettivo della ricerca è andare verso un domani senza Alzheimer. Le cure genetiche rappresentano un filone della ricerca molto importante. Vi sono poi dei dati positivi: studi epidemiologici ci rivelano che negli ultimi 10 anni in Europa e anche negli Stati Uniti c’è un rischio di ammalarsi di malattia di Alzheimer e di demenza in genere più basso che negli ultimi 10 anni del Novecento».
Quindi questo è un aspetto positivo che ci dice che, «indipendentemente dall’aver trovato un meccanismo di cura, quello che stiamo facendo probabilmente come attenzione agli stili di vita sta già cambiando il rischio di ammalarsi. Quindi dobbiamo insistere su questo aspetto. Tuttavia, non è così in tutto il mondo. Nei Paesi asiatici, infatti, c’è un aumento del rischio di demenza che proprio contrasta con quello che vediamo nei Paesi europei e nordamericani».
L'articolo Declino cognitivo e Alzheimer: l’incubo di 9 italiani su 10. Eppure non solo inevitabili: ecco le cause e come scongiurare il rischio sembra essere il primo su Secolo d'Italia.