Oltre 30 ore di interrogatorio con i pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini non sono sinora bastate all’ex assessore Renato Boraso, a chiarire la sua posizione nell’inchiesta “Palude”.
Al quarto, lunghissimo interrogatorio di mercoledì 18 settembre - iniziato alle 11 e finito in tarda serata - se ne aggiungerà un quinto. Quello che dovrebbe essere l’interrogatorio definitivo per l’ex assessore al Patrimonio e alla Mobilità, accusato di 12 episodi di corruzione e turbativa e di aver piegato i suoi poteri di pubblico amministratore per favorire una serie di imprenditori “amici”, nell’affidamento di appalti o autorizzazioni, in cambio di danaro.
A sorpresa, il quarto interrogatorio si è tenuto al carcere Due Palazzi di Padova - dove Boraso è detenuto dal 16 luglio - e non in Procura, come i precedenti. Un faccia a faccia serrato iniziato alle 10.30 e concluso in serata: all’ordine del giorno, ci dovevano essere i capi di imputazioni relativi alla vendita dei palazzi Donà e Papadopoli al magnate Ching Chiat Kwong e i tentativi di vendergli anche l’area dei Pili, di proprietà di una società del sindaco Luigi Brugnaro. Tutti accusati di concorso in corruzione, tutti che negano qualsiasi illecito sul punto.
Ma è evidente che non è bastato. L’avvocato difensore Pauro si è riservato di fare richiesta di arresti domiciliari, al termine di questa infinita tornata: Boraso è l’unico indagato ancora in carcere.
Intanto, il Tribunale del riesame ha accolto il ricorso presentato dall’avvocata Paola Bosio e dichiarato nullo il sequestro di 310 mila euro complessivi a carico di Carlotta e Francesco Gislon, coinvolti nell’inchiesta “Palude”, come parte degli imprenditori che avrebbero ricevuto e pagato i “favori” elargiti dall’ex assessore Boraso.
Nello specifico avrebbero versato all’ex assessore alla Mobilità (tra il 2019 e il 2023) 163 mila euro come anticipo su una somma concordata di 224 mila euro, per far ottenere alla Ma.Fra. gestioni dei Gislon appalti dell’amministrazione comunale.
Danari in parte mimetizzati - è l’accusa - sottoforma di false fatture per consulenze mai eseguite dalla Stella Consulting di Boraso, con contestazione anche di evasione dell’Iva.
In attesa delle motivazioni della decisione del Riesame - che ha restituito gli oltre 300 mila euro agli imprenditori - restano le obiezioni mosse dall’avvocato Bosio nel suo ricorso accolto dai giudici: «Mancanza di motivazione del sequestro: Gislon ha subito il sequestro per vari capi d'imputazione - 236.680 per la corruzione, per fatture false 61.640, 13.200 Iva non versata da Boraso e non si capiva nemmeno perché. Soldi sequestrati a Carlotta e Francesco Gislon quali eprsone fisiche, mentre c’è giurisprudenza che consente di prelevare - semmai - dalle casse della società se c’è capienza. C’è una totale mancanza di motivazione di sottoporre a sequestro ora, non c’è l’esigenza cautelare e questo è motivo di annullamento totale del decreto».