I quarant’anni della Nuova si scostano di poco dai miei quarant’anni a Venezia. Nel 1986, ventenne, mi stabilivo in città, decisa a completare l’università lavorando per mantenermi – impensabile oggi – e poter vivere autonomamente.
Finì che il lavoro, di grafica editoriale, mise all’angolo gli studi. Ma la scelta era fatta e la città mi accoglieva, con una vita sociale vivissima e cosmopolita per me che venivo da Treviso. Molti coetanei, e innumerevoli conoscenti e amici, condividevano con me provenienze diverse e diventavano veneziani acquisiti, fissando non solo la residenza, ma acquisendo anche una identità adottiva che soppiantava presto quella originale.
Due comunità si mescolavano in un clima fervido di convivialità e cultura, in una città che contava quasi 85.000 abitanti, e questo faceva ancora la differenza. Tale accoglienza inaspettata metteva me, ma anche molti “foresti”, nella condizione di dover ricambiare in qualche modo la magia di abitare a Venezia, per rendersi utili alla città.
Così mi inventai la prima guida: “Osterie e dintorni” (sei edizioni in oltre vent’anni): un veicolo per consigliare e condividere il piacere di poter frequentare locali (molti) che, pur per tasche diverse, offrivano un bel campionario della cucina veneziana e internazionale: un itinerario di luoghi e personaggi cominciato per gioco, divenuto una sorta di professione parallela a quell’altra, che, nel frattempo, si era sviluppata anche in altri settori della grafica.
Poi fu la volta delle “Botteghe” e di Murano: guide che volevano valorizzare quanto di autentico rimaneva della produzione, del commercio e dell’artigianato, sempre con l’idea di raccontare una città viva e operosa, a dispetto dell’affermarsi, ormai inarrestabile, di una monocoltura turistica.
Ma ora non è più tempo neppure per i visitatori attenti e sensibili, abbiamo superato il limite del turismo sostenibile. A volte si ha la sensazione di vivere dentro un esperimento estremo: tutto è eccessivo e precoce.
L’overtourism di cui ormai centinaia di città nel mondo cominciano a lamentarsi, qui è di casa da decenni. La progressione del cambiamento climatico la possiamo controllare anche solo dal livello, costantemente in rialzo, dell’acqua nei canali.
La pressione dei turisti è talmente alta da aver stravolto ogni attività e servizio cittadino, piegato allo “spettacolo”: gli artigiani passano le giornate a raccontare i loro segreti, i “giri di ombre” sono ormai una routine istituzionale, le gondole traghetto sono diventate giostre a basso prezzo, e così per innumerevoli esempi di una commedia stanca.
In quarant’anni perciò l’impegno è diventato più civico, passando dalle prime iniziative per far “vivere” una speranza di ripopolamento con “Nascevenezia”, una affollata associazione di genitori che chiedevano asili nido, alla formazione (nel 2008) di una piattaforma “social” di condivisione e confronto che raggruppava i quarantenni scopertisi “orfani” della partecipazione politica: i “40xVenezia”, destinati a costituire, per un paio d’anni, un esperimento che anche il giornale non mancò di seguire con attenzione, svolgendo, come sempre, il compito che spetta alla stampa locale: essere vicina alle vicende del territorio e alle aspirazioni dei cittadini. In fatto di cittadinanza attiva, molti di noi non si sono fatti mancare la partecipazione ad associazioni di ogni tipo.
Troppe, verrebbe da dire, ma nel vuoto di una politica senza progetti che, di fatto, ha via via perso la rappresentanza autentica della popolazione, l’impegno diretto diventava quasi un obbligo morale.
Così anch’io mi sono trovata a far valere, per pubblica utilità, le mie competenze professionali al servizio di molte cause, tutte riconducibili al desiderio di salvaguardare la città, a partire, per esempio, dall’Arsenale.
L’acqua, il comune denominatore della nostra vita, l’habitat senza eguali per una città ineguagliabile, oggi rappresenta una parte importante del mio impegno: con un veliero quasi centenario da salvare (ilnuovotrionfo.org), con un’associazione di artigiani della gondola (elfelze.it), col sostegno al mondo delle regate e l’organizzazione di tavolate conviviali prima della “Storica” (disnar.it).
Accanto a questi, un ruolo più istituzionale (cnavenezia.it), sempre comunque a sostegno dell’artigianato veneziano come risorsa resiliente di una città ormai compromessa. Il futuro. Mio figlio maggiore, che ha scelto di lavorare in un paese più dinamico dell’Italia (ci vuole poco), è ormai residente a Madrid e fa il designer: torna volentieri in vacanza per ritrovare i compagni e guidare per la città i nuovi amici stranieri. Il secondogenito, controcorrente, sta imparando il “mestiere” in un laboratorio del vetro a Murano e nel tempo libero frequenta soprattutto amici in terraferma. Paradigmatico, direi.
Per me rimane la voglia e il privilegio di vivere in questa città-scrigno: per pochi, sempre meno, e non è facile, pervasi da un misto di orgoglio e disillusione. Le sfide sono le stesse di questi decenni di deriva, prima fra tutte la questione del patrimonio edilizio, ormai drammaticamente orientato alla speculazione e alla destinazione turistica che costringono all’esilio gli abitanti.
E lo svuotamento della comunità di cittadini sta già producendo, con la perdita graduale del controllo sociale, fenomeni di criminalità fino a oggi sconosciuti in centro storico.
Per questo, rispetto a una decina di anni fa, il mio punto di vista sulla possibilità di cambiare il destino di Venezia è profondamente mutato. Oggi la sensazione è quella di trovarmi di fronte a un epilogo che si avvicina lentamente ma inesorabilmente, anche se, a dispetto di questa consapevolezza, credo ancora nel valore di ogni azione che possa ridare un senso al nostro vivere qui. —
*Michela Scibilia è grafica e autrice di guide alle botteghe e alle osterie. Trevigiana, si è trasferita per studi a Venezia
