Le statistiche confermano le impressioni degli italiani: in Italia l’eguaglianza di genere progredisce troppo lentamente. Più della metà degli italiani infatti – gli uomini si dichiarano leggermente più ottimisti delle donne – ritiene che la parità tra uomini e donne sia ancora ben lontana in ambito lavorativo, con percentuali del 58% all’interno delle imprese e del 61% nelle istituzioni politiche, il doppio rispetto ai paesi scandinavi, ma molto di più anche rispetto a Germania o Regno Unito, dove ormai da tempo si è compreso come la parità sia un obiettivo importante con effetti positivi sull’intera società e, almeno tra i giovani, l’eguaglianza di genere è riconosciuta essere un diritto fondamentale.
Insomma, i dati dicono che l’occupazione femminile fa bene all’economia perché promuove la natalità, ma solo se adeguatamente supportato dalla condivisione nelle cure e adeguate misure di conciliazione. Ma, da noi, perché questo non genera una domanda politica «forte» alle istituzioni, veicolata attraverso partiti e sindacati? In altri paesi, Spagna e Germania in testa, negli ultimi vent’anni si è generata una mobilitazione dal basso che ha fatto fare passi da gigante in ambito occupazionale e nella conciliazione casa-lavoro, da una parte intercettata dal socialista Zapatero e dall’altra inserita nell’agenda di governo da Angela Merkel e Ursula von der Leyen. E in Italia?
Qui da noi – come illustra Maurizio Ferrera nel suo articolo sul Corriere della Sera – il movimento delle donne è stato meno efficace nell’elaborazione di un’agenda capace di collegare diritti e diversità con obiettivi di carattere economico, sociale e demografico; la sinistra, da una parte, abbraccia i diritti ma fatica, soprattutto tra i sindacati, a modernizzare il modello tradizionale, mentre la destra, dall’altra, sta lentamente scoprendo i temi della natalità e dell’occupazione femminile, ma inserendoli in una cornice nazionalista.
L’esempio degli altri paesi invece ci mostra come il circolo virtuoso fra lavoro femminile e natalità si possa attivare attraverso l’applicazione di misure diversificate, che incidano su reddito, tempi, congedi, servizi e lavoro flessibile. E il giornalista suggerisce che, invece di imporre queste misure dall’alto, sarebbe forse meglio consentire a ogni coppia di scegliere le misure più adatte alle proprie esigenze.
Intanto, la spesa pubblica per famiglia e infanzia resta ai livelli più bassi d’Europa e la UE ci rimprovera, mentre la legge di bilancio per il 2025 promette di investire tutto il possibile su imprese e natalità, per dare accesso a servizi, crediti fiscali o contributivi e quant’altro fino a un certo tetto, in base alla situazione delle beneficiarie. Vedremo se la proposta riuscirà a garantire più protezione, eguaglianza e libertà alle donne italiane.
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