Torrette (neo)gotiche, bifore con arco rotondo, vezzosi merli. Il tutto affacciato su un porticciolo da diporto. Eppure il Castelletto dei Filtri di Aurisina che si progetta come un possibile albergo affacciato sul mare, previo trasferimento dell’Ogs di Trieste in Porto Vecchio, è un edificio strettamente industriale. Quando a metà Ottocento iniziò la costruzione della ferrovia Meridionale, volta a collegare Trieste con Vienna, l’attraversamento di un deserto quale il Carso comportava il quesito di come alimentare i convogli ferroviari. Dopo aver cercato invano di scoprire il percorso sotterraneo del Timavo, si propose di utilizzare le sorgenti degli odierni Filtri, a metà tra Santa Croce e Aurisina.
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Il barone Karl Ludwig von Bruck costituì nel 1852 un Comitato per l’Acquedotto onde sollecitare un’azione del governo; e constatando come il Comune di Trieste non avesse i capitali necessari, li raccolse con l’apposita Società dell’Acquedotto (1855) sottoscritta dall’elite mercantile di Trieste. La Società ad azioni consentì di giungere a un accordo con il ministero delle Pubbliche Costruzioni: la ferrovia Meridionale, oltre a fornire gli ingegneri idraulici già impegnati nel tracciato, avrebbe costruito le tubature e le stazioni di rifornimento; sarebbe invece spettato alla Società erigere i serbatoi e l’acquedotto diretto verso la città. Onde facilitare i lavori, la Società optò di utilizzare solo due delle nove sorgenti, sfruttando quelle a livello del mare.
La posizione delle sorgenti non era agevole, perché risultava alla base di una grande rupe verticale. Una caldaia a vapore della ditta Wollheim pompava l’acqua all’interno di due vasche dove veniva depurata – da qui il nome dei filtri – e pompata a monte della linea ferroviaria. Il flusso veniva allora diviso: la sezione riservata alle ferrovie fluiva nella torre piezometrica, oggigiorno Torre Liburnia. Questa, assolvendo alla funzione di mantenere costante la pressione, garantiva che l’acqua giungesse poi alla stazione ferroviaria di Aurisina. Il castelletto ospitava allora le pompe per sollevare l’acqua fino all’altezza richiesta; era un glorificato opificio. Col tempo i macchinari per il pompaggio all’interno verranno convertiti al diesel e la portata delle sorgenti ampliata fino alla prima guerra mondiale.
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A seguito della scelta di costruire l’acquedotto Karl von Ghega, quale responsabile dei lavori ferroviari, consigliò pertanto l’ingegnere Karl Junker, meglio noto per la costruzione di Miramare, quale autore per il castelletto. Questi affidò a propria volta il compito a Paul Sprenger, in carica per la sezione Architettura della Direzione Generale Costruzioni. Junker e Sprenger realizzarono un edificio rettangolare con due torrette ottagonali e alcuni edifici ausiliari. Lo stile del gotico quadrato mirava a nascondere l’esistenza di un impianto industriale sotto una veste medievale: ecco allora comparire all’angolo i rinforzi con i conci di mattone e, alla sommità, le merlature. L’utilizzo dei mattoni a vista venne da Junker dedotto dall’Arsenale di Vienna, mentre le torrette erano una citazione delle torri nei comuni medievali. Il mimetismo della costruzione continua a ingannare tutt’oggi: molti infatti pensano che il castelletto sia stato nel passato una villa o una dimora nobiliare.
Sotto il profilo tecnico l’acquedotto di Aurisina si rivelò inferiore alle necessità della città: dapprima il flusso bastò solo per il tracciato ferroviario, poi man mano che veniva ampliato, crebbe però la sete delle industrie cittadine. Lo Stabilimento tecnico triestino, la Fabbrica macchine Sant’Andrea, il cotonificio Brunner e la Pilatura del Riso, odierna Risiera, richiedevano tutti rifornimenti idrici. Dapprima la società privata, poi il Comune privilegiarono l’industria a discapito dei cittadini. La situazione verrà risolta appena con la costruzione dell’acquedotto Randaccio, risalente al 1929.
Oggi il castelletto è associato alle ricerche dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale che gestisce il Laboratorio di Biologia Marina ex Consorzio, costituito nel 1972 da Università, Provincia e Comune. La posizione prossima al mare, vicina alla riserva marina di Miramare e a Barcola, consente una vasta gamma di ricerche. Tecnicamente la vicina darsena, specie per il basso fondale, è inoltre tra le più piccole di Trieste. Il tutto con un fascino, quello dei Filtri, che deriva proprio dalla sua remota tranquillità.