Il carcere milanese di Bollate sta compiendo «sforzi eccezionali per occuparsi» di Renato Vallanzasca, che soffre di decadimento cognitivo. Ora ad affiancare i difensori dell’ex boss della banda della Comasina nella richiesta di «differimento pena con detenzione domiciliare per grave infermità», sulla base di relazioni mediche, c’è anche la Procura generale di Milano, che ha chiesto al Tribunale di Sorveglianza che il settantaquattrenne venga trasferito in una struttura assistenziale per essere curato.
«È accertata la diagnosi di demenza, c’è incompatibilità conclamata con la detenzione in carcere ed è venuto il momento di modificare la condizione detentiva, da eseguire nella struttura che ha dato disponibilità», ha spiegato il sostituto procuratore generale Giuseppe De Benedetto, dando parere favorevole all’istanza degli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi.
All’udienza, aperta al pubblico su richiesta dei difensori, ha partecipato anche l’ex protagonista della mala milanese degli anni ’70 e ’80, che è stato più di 50 anni in carcere, condannato, tra l’altro, a quattro ergastoli anche per omicidi e con «fine pena mai».
Seduto dietro di lui c’era un suo amico, imprenditore, volontario e tutore legale, «un angelo custode» a detta dei difensori, con la mano appoggiata sulla sua spalla.
La giudice Carmen D’Elia (l’altra togata è Benedetta Rossi) ha ripercorso tutte le relazioni, anche del servizio di medicina penitenziaria, che hanno dato conto in questi mesi delle condizioni di Vallanzasca. Condizioni che producono «paranoia, deliri notturni», «afasia» e che l’hanno portato a cadere dal letto e a essere ricoverato più volte tra luglio e agosto.
«Le sue condizioni non gli fanno nemmeno capire il senso della pena», hanno messo nero su bianco i difensori in una memoria.
Un neurologo del servizio di medicina penitenziaria a fine luglio ha segnalato che le «condizioni sono difficilmente compatibili col regime carcerario», che il settantaquattrenne «ha perso completamento il controllo» e che deve essere trasferito in una struttura «per malati di Alzheimer». Così come avevano già segnalato i medici di Bollate, che in un ultimo accertamento hanno evidenziato che è «disorientato nel tempo e parzialmente nello spazio», con «comportamenti inadeguati» e «scarsamente collaborativo».
Nel carcere «proprio per le sue problematiche» viene evitata una «sorveglianza continua» e ci si affida per il controllo a «soggetti che già lui conosce».
Per questa «patologia senza soluzione» il Procuratore generale ha chiesto il «differimento pena nella forma della detenzione domiciliare per la durata che il Tribunale riterrà opportuna».
I legali Muzzi e Limentani nel loro intervento hanno parlato di una malattia che per la prima volta si è manifesta «nel gennaio 2023» e in «rapido e progressivo peggioramento», con «l’ambiente carcerario che peggiora il suo stato». La difesa è riuscita a raccogliere la disponibilità della «più grande struttura veneta che si occupa di malati di Alzheimer e demenza, legata alla Chiesa», in provincia di Padova. Si tratta, come è stato detto in udienza, dell’Opera della Provvidenza Sant’Antonio a Sarmeola di Rubano.
Nel maggio 2023 il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato un’istanza analoga, ma all’epoca non era stato individuato un luogo di cura. Vicino alla Rsa veneta c’è pure una «stazione dei carabinieri a cento metri e anche i carabinieri del posto hanno dato rassicurazioni».
«Una persona in queste condizioni, non più autosufficiente, può essere ritenuta pericolosa? Il carcere – hanno concluso i difensori – non può ledere i diritti fondamentali».
Vallanzasca, per il quale prima dell’estate il Tribunale ha riattivato i permessi premio in una comunità terapeutica, ha bisogno di «specialisti e stimoli cognitivi». Per il 14 ottobre, tra l’altro, è prevista la visita del medico legale per la «domanda di invalidità». Mentre i giudici della Sorveglianza dovrebbero decidere nei prossimi giorni.