GRADO Il 7 agosto 1987 sulla strada che da Grado porta a Monfalcone, si concluse fra le braccia dei Carabinieri che lo stavano aspettando, la fuga di Renato Vallanzasca. Il Bel Renè, rapinatore, omicida, sequestratore e capo della mala a Milano e non solo, era rocambolescamente evaso un mese prima attraverso un oblò del traghetto che lo stava portando da Genova al carcere di massima sicurezza di Nuoro. Cherchez la femme: si tradì con una telefonata a una fan isontina, una delle tante che gli scrivevano in carcere. Gli fu fatale il desiderio di incontrarla prima di fuggire all’estero.
A distanza di 37 anni dal clamoroso arresto e dopo 53 anni di prigione Vallanzasca si racconta nelle sue complessità di uomo dalla vita spericolata, priva del senso del bene e del male, regolata dell’adrenalina dell’azione spietata, in un dialogo-confessione con la giornalista scrittrice Micaela Palmieri nel libro a quattro mani “Malanotte. Rimpiango quasi tutto” (Baldini+Castoldi, pagg. 144).
[[ge:gnn:ilpiccolo:14602608]]
Un titolo richiamo ai “Promessi sposi” romanzo che è rito di conversazione fra i due. «Sono sempre stato fedele a me stesso»; sono le prime parole del capitolo di esordio. «Mi devi insegnare a vivere, bimba, io non so come si fa. Dopo cinquant’anni di carcere non so più come si fa o, forse, chi lo sa se l’ho mai saputo».
Bimba o “bumbunin”, così chiama Vallanzasca la giornalista con la quale esiste una frequentazione di anni, tante parole condivise davanti a una pizza o un gelato nelle sue uscite-permesso dal carcere di Bollate dove sta scontando la condanna a fine pena mai.
«Ma tu dici che stavolta finalmente mi tolgo dai coglioni dalla galera?», chiede il Bel Renè alla Palmieri in una delle tante conversazioni dallo stile parlato, confidenziale, come accade fra amici. «Aspettiamo di capire se ti concedono la semilibertà o la liberazione condizionale. Pronti al meglio ma abituati al peggio. Lo diciamo sempre, no?», la risposta.
Questo il gancio alla cronaca del libro uscito pochi giorni fa. Perché se Vallanzasca non si è mai pentito, né mai ha chiesto perdono o clemenza, a breve potrebbe ottenere di uscire per motivi di salute. «Non sono più me stesso. Cazzo, io ne ho ammazzati più con la lingua che con la pistola. Se mi togli la parola, non mi rimane più niente. Il Covid mi ha distrutto. Ero senza vita quando mi hanno portato in ospedale. Niente ossigeno al cervello per cinque minuti».
Attacca le condizioni di vita nelle carceri, definendosi un supervisore, dopo averne girate quaranta e di fatto auspica una prossima svolta per sè. «La verità è che le porcate che fanno dentro le carceri le possono fare perché tanto non le vede nessuno». Ma anche confessa che è nell’arroganza della parola e nel restare fedele al suo personaggio estremo la sua ultima forza.
Il libro è anche un viaggio nella cronaca nera degli anni ’70. Nato a Milano nel 1950 iniziò la carriera di malvivente nel quartiere Giambellino: “Gestivo un mercato parallelo. Smerciavo qualsiasi cosa: fumetti, orologi, stoviglie, stufette, soldatini. E avevo dieci anni. Ero veramente un randa. Uno scugnizziello milanese”. I rapporti anche violenti nella famiglia allargata, le prime esperienze sessuali e la scoperta di essere bello a sua insaputa.
Poi il salto di qualità nella “mala” dove le bande erano “batterie”, gli amici fedeli, molti dei quali morti ammazzati in scontri fra gruppi o con le forze dell’ordine, la “madama”. Pagine che corrono: Milano 1976, il colpo senza eguali all’Esattoria di piazza Vetra, in pieno centro. La Madama avrebbe “usmato” che c’era qualcosa che non andava. Scoppiò il fine mondo di fuoco. Un suo compare cadde: «Il poliziotto con le forze che gli restavano si avvicinò e fece fuoco altre due volte. Sembrava un’esecuzione a vederla da dov’ero io. Era una cazzo di esecuzione». Tante donne, due matrimoni, uno in prigione con Francis Turatello patrocinante e testimone, un solo figlio, Massimiliano nato mentre era detenuto a Bari.
Per lui un rimpianto: «Non c’è stato giorno in questa mia vita in cui non ti abbia pensato. Io ci ho rimesso te e la mia vita». La storia di un uomo che oggi avrebbe voluto essere padre prima che bandito.
RIPRODUZIONE RISERVATA