«No, non mi sono ancora stancato di fare il direttore generale di Lattebusche, anche perché in questi 50 anni l’azienda ha cambiato volto almeno 10 volte. E senza mai smettere di crescere».
Antonio Francesco Bortoli (classe 1947) si appresa a festeggiare i 70 anni della più importante cooperativa lattiero casearia del Veneto; appuntamento sabato 7 settembre a Cesiomaggiore, piccolo comune del Bellunese dove il sogno continua. Bortoli è di poche parole, schivo, sempre concentrato sul suo lavoro. Noto non solo per i risultati della “sua” cooperativa, ma anche per aver saputo nel tempo resistere alle varie lusinghe della politica e di altre strutture private o cooperative e per avere dedicato un’intera vita a Lattebusche. E al centro della festa, infatti, ci sarà anche lui che raggiunge i 50 anni di direzione generale.
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Un traguardo che non molti possono vantare.
«In effetti, se mi guardo indietro, di strada ne abbiamo fatta. Ma poi per un’azienda quello che conta sono i risultati».
Nuovo record di fatturato atteso a fine anno dopo i 142,6 milioni di euro del 2023?
«È ancora presto per dirlo, soprattutto in un mercato volatile come è quello del latte e dei derivati. Diciamo comunque che si tratta di un buon anno».
Un manager è orientato sul qui e ora, ma sabato ci sarà spazio anche per una retrospettiva?
«È inevitabile; credo che sia opportuno ogni tanto guardare indietro, anche per capire come sia stato possibile partire da Busche e arrivare oggi a realizzare all’estero il 20% del nostro fatturato».
Appunto, come è stato possibile?
«Potrei sintetizzare con due parole: qualità e innovazione, anche nelle piccole cose. Innovazione soprattutto nel modo di pensare. Così ci siamo trasformati dalla sola produzione alla ricerca di mercati sempre più ampi in tutto il Nord Est; con la volontà di crescere anche attraverso le incorporazioni, ben 23, che oggi sembrano facili, ma che allora voleva dire lavorare di più e meglio degli altri; con impianti di qualità e innovativi; con una gamma di prodotti sempre più ampia; con le varie certificazioni, anche ambientali; con la scelta di remunerare il latte agli allevatori sulla base della qualità, primi in questo a partire dal 1982; e poi con un importante capitale sociale».
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Dunque, nessuna paura a intraprendere strade nuove?
«La montagna, se vuol essere protagonista, deve prendere l’iniziativa, noi lo abbiamo sempre fatto».
Cosa significa allora oggi, nei numeri, Lattebusche, guidata dal presidente Modesto De Cet?
«Trecento soci produttori di 7 province (Belluno, Vicenza, Padova, Venezia, Treviso, Trento e Udine); 6 stabilimenti di produzione; 9 punti vendita diretta (i Bar Bianco); 308 dipendenti e 40 agenti; 3.000 esercizi commerciali serviti quotidianamente dalla rete di vendita».
In tanti campi avete segnato un primato.
«Sì, siamo stati i primi in Italia a brevettare un formaggio, il Piave, ed eravamo a metà degli anni Settanta. Abbiamo avuto la capacità di riunire nella nostra cooperativa, dapprima, ben l’85% del latte prodotto nella provincia di Belluno e, dopo aver creato prodotti e marchio, siamo andati alla ricerca di nuovi mercati, in pianura».
Le acquisizioni più significative?
«Tra le più importanti, 36 anni fa, la Latteria Clodiense; poi 31 anni fa la Latteria Brega a Sandrigo, che ci portò in dote un’importante quota di Agriform, cooperativa di cooperative con sede a Sommacampagna impegnata nella stagionatura delle forme, ma anche e soprattutto nella vendita all’estero, su mercati nuovi come Usa, Inghilterra, Germania, Canada, Finlandia. Poi alcuni anni fa Agriform ha concluso una prima operazione di importanza strategica, con Parmareggio e in seguito è entrata in Granterre: due territori vicini, come il Veneto e l’Emilia Romagna, nessuna sovrapposizione operativa, stessa struttura cooperativa che oggi unisce ben 2.000 allevatori per un fatturato di oltre 1, 5 miliardi di euro».
È sempre cresciuta nel contempo quella piccola azienda interna costituita dai Bar Bianco.
«Altra sfida vincente della nostra squadra, ad iniziare da quello di Busche accanto alla sede produttiva: 9 punti vendita oltre a due in forma consortile, con 70 addetti, più di 3 milioni di presenze nei dodici mesi ed un fatturato che a fine anno supererà i 14 milioni di euro. Punti vendita, ma anche piccole piazze dove, come in un mercato, proporre i nuovi prodotti e sondare il gradimento della clientela».
Anche Slow Food vi ha chiamati recentemente a raccontare i vostri prodotti biologici.
«Come hanno rilevato e testato i tecnici di Slow Food che ci hanno fatto visita, si tratta di un latte di alta montagna che presenta caratteristiche uniche grazie alle essenze diverse e più numerose di quei pascoli rispetto a quelli di pianura. E che ci sta dando soddisfazione».
Settant’anni caratterizzati da tante scelte cruciali.
«Tante decisioni non certo facili, specie in un’azienda con proprietà diffusa come una cooperativa. Scelte coraggiose, che ora appaiono scontate, ma che allora sono state complesse ed anche fonte di un aspro confronto interno. Scelte spesso controcorrente, che però ci hanno dato il vantaggio competitivo che abbiamo saputo conquistarci e mantenere nel tempo. Il mercato non è facile, i consumi si riducono per tante ragioni, non ci si può certo riposare sugli allori».