Martina Oppelli ha depositato un esposto alla Procura di Trieste contro l’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Asugi). Il suo collegio difensivo in un atto di quindici pagine chiede che gli inquirenti facciano luce sui ripetuti no in tema di fine vita che l’architetta di 49 anni di Trieste resa tetraplegica dalla sclerosi multipla ha ricevuto da parte dell’Azienda sanitaria per accertare se si profilano due reati: il rifiuto di atti d’ufficio e la tortura.
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Il 13 agosto scorso Oppelli si è vista negare per la seconda volta il via libera al suicidio assistito perché secondo Asugi non soddisfa uno dei quattro criteri che la sentenza della Consulta 242/2019 sul caso di Dj Fabo richiede per averne accesso. Secondo la commissione medica di Asugi Oppelli non è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. «Non può essere una macchina la misura della sofferenza umana», ripete più volte Oppelli alla conferenza stampa convocata al Caffé San Marco di Trieste dall’associazione Coscioni, che accompagna Martina nel suo percorso e nella sua battaglia legale.
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Parla piano e fa fatica: «Mi scuso perché non ho la voce di qualche mese fa, non pensavo di passare un’altra estate che mi disintegra. Non offendetevi se non vi guardo, in questa posizione resisto di più», esordisce. «Tutto passa, ma la sclerosi no. Non so quanto riuscirò a continuare, ho raggiunto il limite. Sono un soffio di vento, lasciatemi andare», chiede ancora.
Per Filomena Gallo, segretaria della Coscioni e coordinatrice del collegio legale, la relazione medica di Asugi «grida giustizia, ha travisato la condizione di salute di Martina, e la impugneremo in ogni punto e in ogni sede». Infatti, specifica, «dai medici sono state poste in essere condotte con violenza e crudeltà nei suoi confronti di Martina, cosa che le ha causato un trauma psichico e sofferenza fisica senza fine».
Questo è il motivo per cui il collegio difensivo ritiene si profili il reato di tortura. Un reato associato solitamente a violenze sui carcerati ma che in realtà – ricorda Francesca Re, avvocata parte del collegio difensivo – «è stato introdotto dal legislatore per tutelare l’autodeterminazione delle persone, anche quelle in situazione di minorata difesa», cioè in uno stato di particolare vulnerabilità, stato in cui versa Oppelli.
Il punto più problematico della relazione, secondo Gallo, è quello che riguarda la macchina della tosse: «I medici di Asugi arrivano a mettere in dubbio che ne necessiti realmente, anche se è stata prescritta proprio da loro, danno una falsa rappresentazione della sua condizione di malattia e soprattutto dei supporti medici e farmacologici che la tengono in vita». Inoltre, «scrivono che rifiuta ulteriori accertamenti e farmaci, ma è un suo diritto, e un diritto di tutti. La Consulta ha stabilito che il rifiuto di terapie è equiparato alla sussistenza delle terapie». D’altro canto, «perché usa la macchina della tosse? Lo fa per non morire soffocata, non è un gioco, il suo uso ha controindicazioni e conseguenze pesanti».
Oppelli nel rivolgersi ai giornalisti alterna determinazione e scoramento. Racconta di credere nella medicina, di aver voluto vivere e di aver cercato di sottoporsi a tutte le cure ma dice di essersene quasi pentita perché adesso si trova a lottare con spasmi e dolori intollerabili che non può combattere con i farmaci che i medici di Asugi le consigliano di usare, perché ne è allergica o perché le tolgono lucidità, l’unica cosa che la malattia non le ha preso: «È un incubo. A volte penso che se avessi scelto di non continuare vent’anni fa sarebbe stato meglio, non sarei qua». Non esclude l’idea di recarsi all’estero per il fine vita, anche se non sa «come affrontare il viaggio».
Allo stesso tempo Oppelli afferma che se la decisione è stata presa per «uno scontro politico, hanno scelto la persona sbagliata. In un quarto di secolo ho acquisito una capacità di resistenza che voi “normali” non potete nemmeno immaginare». Insomma, ha intenzione di andare fino in fondo nel vedere riconosciuti i suoi diritti, un percorso che «la fa sentire ancora utile» ma che non vuole «accada mai a nessun altro».—
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