Ma quale familismo, ma quale “sorellanza”, ma fateci il piacere. Care sinistre, smettetela, non cadiamo nella trappola. Non potete non sapere che di ‘cerchi magici’ è pieno il mondo, anche in contesti a voi cari. Ma solo dall’avvento del governo Meloni avete inscenato lo “scandalo”. Ma gli italiani non la bevono. Clan familiari e dinastie che per decenni oppure solamente per un breve periodo hanno occupato scranni, poltrone e ruoli di chiave è piena la storia in tutto il mondo. Siate cosmopoliti, affacciatevi anche nelle storie politiche altrui. Scoprirete – anche in mondi che a voi piacciono- che avere un ruolo in politica contemporaneamente a un genitore, a un marito o a un parente asceso ai vertici della politica, non è reato. E avviene a ogni latitudine senza che qualcuno gridi allo scandalo o al nepotismo. Solo in Italia la sinistra da oltre due anni ne fa un argomento di dibattito.
Una folta carrellata di esempi viene scodellata da un servizio dell’Adnkronos. A cominciare dagli Stati Uniti, abbiamo Bush padre che ha metaforicamente consegnato le chiavi della Casa Bianca al figlio otto anni dopo il termine del suo mandato. Nel Paese della dinastia Kennedy, ma anche dei Clinton per restare nel campo democratico, l’allargamento del potere in ambito familiare non è mai stata fonte inesauribile di dispute. Ma non vi ricordate che solo pochi voti hanno impedito nel 2017 l’arrivo allo Studio Ovale della moglie di Bill Clinton, Hillary, (nella foto Ansa), allora segretaria di Stato uscente? Allora la sinistra suonava la grancassa, non si scandalizzava del “familismo”. L’ex presidente Donald Trump nominò consiglieri la figlia Ivanka ed il genero Jared Kushner. La tradizione dei parenti in politica prosegue con la candidata alla Casa Bianca, Kamala Harris. Diamo una notizia alla sinistra osannante: Maya, la sorella dell’attuale vice presidente, nel 2016 era stata tra i tre consulenti politici della campagna di Hillary Clinton. E quattro anni più tardi era stata nominata proprio a capo della campagna di Kamala.
La storia si ripete in un altro Paese dall’innegabile tradizione democratica come la Francia. Dove, a scorrere la lista degli inquilini dell’Eliseo, emerge che la parola d’ordine negli ultimi decenni non sia stata certo ‘grandeur. Piuttosto ‘famille’. Francois Mitterand, presidente dall’ ’81 al 95′, ha avuto come erede politico il nipote Frederic, che è stato ministro della Cultura nel 2009. Ministra e candidata (sconfitta) alla presidenza è stata Segolene Royal, moglie di Francois Hollande (nella foto d’archivio Ansa). Politico di professione è anche Jean Sarkozy, il figlio dell’ex presidente Nicolas. C’è poi la famiglia Le Pen: dal capo dinastia Jean-Marie, fondatore del Rassemblement National, alla figlia Marine; fino alla nipote Marion Marechal. Eppure in Francia se le dicono di tutti i colori ma non certo nel nome del familismo. Anche l’attuale premier Gabriel Attal, che ha più di un piede fuori dalla porta di Matignon, ha ceduto alla tentazione. E ha nominato Stephane Sejourne – il marito che ha sposato nel 2017 – ministro degli Esteri.
In America Latina, inoltre, il potere è in molti casi una questione di famiglia. In Brasile il presidente di sinistra Lula ha un figlio Marcos Claudio da anni in politica. Stesso discorso per i figli dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Per non parlare poi della famiglia Allende in Cile e dei Castro nella comunista Cuba. Già, se la memoria non ci fa difetto, non pare proprio che qualcuno da sinistra abbia eccepito del passaggio di consegne da Fidel a Raul.
Dunque, gli anti-meloniani amplino i loro orizzonti. Anche in Israele l’attuale presidente Isaac Herzog è figlio di Chaim Herzog: sesto presidente dello Stato di Israele per due mandati (dal 1983 al 1993). In Turchia il ‘sultano’ Erdogan non si è fatto scrupoli a nominare il genero Berat Albayrak in diversi incarichi di governo tra cui quello di ministro delle Finanze. E anche in Pakistan la dinastia Bhutto ha dominato la scena per anni.
Diamo poi un’occhiata ai Paesi da sempre ai primi posti degli indici di trasparenza mondiali, come Norvegia e Nuova Zelanda: qui l’ex premier Jacinda Harden è cugina di una deputata. E non ha scatenato polemiche una certa propensione alla presenza di più membri di una stessa famiglia nei posti di comando. Il caso più emblematico è quello degli Stoltenberg nel Paese scandinavo. Thorvald Stoltenberg è stato tra l’altro ministro della Difesa. Il figlio Jens ha fatto di meglio diventando sia primo ministro che segretario generale della Nato; mentre la moglie quest’ultimo, Ingrid Schulerud, è ambasciatrice. Anche il capo uscente dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha un cognato, Johan Jorgen Holst, già protagonista degli Accordi di Oslo, e già stato ministro degli Esteri e della Difesa.
Ebbene, la realtà si incarica di trarre la conclusione. Solo in Italia ci sono polemiche arroventate da quando è premier Giorgia Meloni. Che avrebbe la ‘colpa’ di avere nella sua squadra di governo l’ormai ex cognato, Francesco Lollobrigida, come ministro dell’Agricoltura; e per aver nominato la sorella Arianna alla guida della segreteria politica e del tesseramento di Fratelli d’Italia. Può bastare così.
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