Il cielo sopra un ospedale di Roma o anche gli angeli, metaforicamente parlando, hanno la faccia di Valerio Mastandrea. Nonostante, seconda regia dell’attore romano, film d’apertura della sezione Orizzonti a Venezia 81, è una curiosa, romantica, mortuaria nuance cinematografica sulle parole non dette, sulle occasioni mancate, di un essere vivente qualunque. Lui (Mastandrea) è un signore in giacca nera a camicia bianca che aleggia malinconico tra le stanze di un ospedale semivuoto dove giungono pazienti in coma. Lui condivide una sorta di limbo spaziale tra la vita e la morte con il “curiosone” (Lino Musella), impermeabile giallo e maglione di lana, e la “veterana” (Laura Morante), vecchi completi eleganti da signora borghese. Doppi fisici dei propri corpi sdraiati sui letti e attaccati alle macchine per sopravvivere, i tre non vengono visti da infermieri e medici, ma sono percepiti dal “volontario” (Giorgio Montanini) che diletta inservienti e moribondi con una stonata musicoterapia.
Quando però giunge l’ora dei morenti verso l’aldilà improvvisamente soffia un vento fortissimo da cui si viene risucchiati. Dettaglio che Lei (Dolores Fonzi), la giovane nuova “arrivata” in corsia, stenta a capire. Sarà Lui, dopo un iniziale furioso attrito con la ragazza irrequieta e disposta a tutto (vita o morte che sia) pur di andarsene da lì, a spiegarle come aggrapparsi alla vita per non finire travolti dal vento. Lui e Lei, comunque, in quel limbo buffo, goffo e parecchio cereo, troveranno il filo di un legame sentimentale sussurrato e profondo. Venti minuti iniziali di nuda drammaturgia teatrale che sembrano implodere attorno al peso evidente della metafora (e alla scarsa presenza del mezzo cinema), poi Nonostante acquisisce un buon peso specifico tralasciando ripetizioni e didascalismi descrittivi (fantasmi diventano perlopiù i vivi…) per una più matura e sicura ricostruzione visiva di angolazioni e prospettive sospese, imbellettato da una accorta lieve ironia (“si stava così bene in terapia intensiva”).
A livello recitativo il lavoro per sottrazione lascia spazio alla creazione di un teso senso generale di attesa, come ad un meccanismo del racconto positivamente imposto da regia e montaggio. Nonostante, dedicato al padre del regista morto nel 2014, ci riporta gradualmente nel franoso e doloroso terreno del rapporto dell’uomo con il senso della morte, ma soprattutto con quelle fiammelle che in vita non si sono volute tenere accese per paura, indecisione o pavidità. Mastandrea/Lui sballottato, verso fine film, in aria grazie al comparto degli effetti visivi (Rodolfo Migliari, Roberto Saba) è una scelta poetica da (super)eroe fragile alla Shyamalan che lascia visivamente il segno. Produce, tra gli altri, Valeria Golino. In sala solo a marzo 2025.
L'articolo Valerio Mastandrea “angelo” del cielo sopra Roma, la seconda poetica regia dell’attore apre la sezione Orizzonti al Festival di Venezia proviene da Il Fatto Quotidiano.