di Michele Sanfilippo
A me pare inevitabile che lo scontro in atto tra Grillo e Conte si trasformi in una resa dei conti. Personalmente credo che Grillo che, tra il 2013 e il 2018, ha avuto il gran merito di aver intercettato il voti di protesta che, in tutti gli altri paesi occidentali, era stato, invece, fagocitato dalle destre nazionaliste. Ma penso anche che abbia sbagliato molto e continui a farlo.
È vero, inizialmente la forza del M5S è stata il suo dirsi né di destra né di sinistra, affermazione che ne ha consentito una crescita inaspettata ma che ha portato dentro il movimento punti di vista troppo eterogenei per poter convivere in un partito di governo che, in quanto tale è tenuto a promuovere, iniziative di legge.
Allora nel Movimento furono eletti parlamentari come Paragone, convinto antieuropeista e fondatore di Italexit, insieme con Fico o Di Battista il cui cuore batteva decisamente a sinistra, per non parlare di un neodemocristiano come Di Maio. Era impossibile che potessero convivere punti di vista così diversi ed è stato inevitabile che ogni atto politico che accontentasse una parte finisse con lo scontentare l’altra. Ma questo spiega solo l’emorragia di parlamentari.
Il vero e più grave problema è stata l’emorragia di voti che si è accentuata elezione dopo elezione ma che ha raggiunto il suo climax dopo che Grillo ha dato l’ok alla partecipazione del M5S al governo Draghi, cioè l’antitesi di tutto ciò che il Movimento considerava identitario.
Ricordo bene Grillo che di Cingolani (lo stesso che, poi, nell’ottobre 2022 è stato nominato consigliere per l’energia del governo Meloni e ora è direttore di Leonardo) diceva: “io sono l’elevato e lui il supremo”. Così come ricordo che Cartabia, ministra della Giustizia di Draghi (“uno dei nostri” arringava l’elevato), ha spazzato via la legge sulla prescrizione di Bonafede.
Ma anche Conte ha sbagliato molto. Ha messo la firma su leggi davvero discutibili soprattutto durante lo sciagurato governo giallo-verde. La sua unica scusante era la sua inesperienza che, specialmente nei primi mesi di governo, lo faceva apparire come il maggiordomo di Di Maio e Salvini. Ma è cresciuto e, gestendo dignitosamente il periodo oscuro della pandemia, ha raggiunto livelli di credibilità personale che lo hanno messo al riparo da attacchi interni almeno fino alle ultime elezioni europee dove i voti, ad onor del vero, sono stati proprio pochi. Ma il suo maggior merito è stato quello di collocare il M5S nell’area progressista del Parlamento.
Ora Conte sta cercando di recuperare per il M5S quella credibilità perduta durante la sciagurata adesione al governo Draghi. Ovviamente, si trova a dover fronteggiare i nostalgici del “né di destra né di sinistra”, che ancora non hanno capito che questa formula può funzionare quando sei all’opposizione ma una volta al governo, invece, non funziona più perché vieni giudicato per aver agito facendo qualcosa di destra o di sinistra.
Personalmente, in passato, ho votato il M5S perché proclamava di opporsi nettamente alla corruzione dilagante in politica, di voler tutelare l’ambiente, i servizi pubblici e, in generale, i più deboli. In assenza, a sinistra, di un partito che dicesse di voler fare queste cose, mi sono sembrati l’unica opzione possibile per fronteggiare decenni di pensiero unico, durante i quali destra e sinistra hanno governato entrambe, seguendo la falsa narrazione secondo cui promuovendo l’impresa a scapito dei diritti di chi lavora e del welfare, si fa crescere il paese (il clamoroso e crescente impoverimento delle classi medie degli ultimi anni è la prova più evidente che si tratta di una falsa narrazione, tranne che per l’informazione).
Quindi, siccome c’è, più che mai, bisogno di una sinistra credibile, fa bene Conte a provare a continuare su questa strada ma sarà difficile che, l’ormai poco lucido, fondatore del Movimento permetta alla sua creatura di trovare una propria via.
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