La tabella di marcia è saltata da tempo e sembra che ci vorranno ancora molte settimane per la conversione in legge del ddl AI, la normativa italiana sull’intelligenza artificiale. Nei giorni scorsi, il Garante Privacy ha messo in evidenza molte criticità presenti nel testo approvato ad aprile dal Consiglio dei Ministri. In particolare, ha contestato la superficialità con cui è stato trattato il tema della verifica dell’età (Age Verification). Nella norma approvata dal governo Meloni, infatti, si fa riferimento alla tutela dei minori (con due scaglioni previsti per gli under 14 e gli under 18), ma non viene indicato e spiegato quale strumento comprovato sarà utilizzato affinché queste prescrizioni vengano rispettate dai vari servizi AI. Insomma, l’Autorità muove parte delle contestazioni già mosse molti mesi fa a OpenAI per quel che riguarda ChatGPT in Italia.
Ma non c’è solo questo. Il Garante ha messo l’accento sulla scelta del governo di attribuire la titolarità del trattamento dei dati sanitari – per quel che riguarda la piattaforma relativa al fascicolo sanitario elettronico e la medicina digitale – ad Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. L’Autorità ha chiesto lumi per comprendere per quale motivo questi dati – quelli che godono dei maggiori standard di sicurezza, anche in rispetto alla recente nuova normativa europea – non siano stati affidati (in qualità di titolare del trattamento) al Ministero della Salute.
La strada per la conversione in legge, dunque, sembra tutt’altro che semplice. Secondo i piani del governo, si sarebbe dovuto procedere con il voto parlamentare e l’approvazione – con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – prima della chiusura dei lavori. Ma il 7 agosto è passato da due settimane e siamo ancora in alto mare. Le Commissioni del Senato hanno svolto alcune audizioni e ora dovranno recepire le indicazioni del Garante Privacy il cui parere, per molti aspetti, è vincolante. Poi ci sarà la discussione in Aula e la possibile presentazione di emendamenti. A meno che l’esecutivo non decida, ancora una volta, di chiedere il “voto di fiducia”.
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