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Da Lenin a Putin: evoluzione della politica e religione nella Russia moderna

di Antonio Salvati

Ambiziosa l’operazione dell’ultimo volume di Giovanni Codivilla, Da Lenin a Putin. Politica e religione (Jaca Book 2024 pp. 463 € 24,00). Quella di descrivere la parabola che parte dalla rivoluzione bolscevica per giungere al “mondo russo” attuale. In altri termini, dal leninismo al putinismo, dalla fine dell’impero zarista all’incerta rinascita della Russia post-sovietica. Considerando che siamo in presenza del passaggio dal sistema sovietico ad un sistema ancora incerto e in piena evoluzione. Un sistema ancora in via di definizione all’interno dello sconvolgimento dell’intera definizione dell’ordine mondiale, di cui molti russi contestano la globalizzazione “monopolista” dell’Occidente per cercare una propria centralità in una visione “multipolare”. L’attuale conflitto in Ucraina, iniziato un secolo dopo la fine della prima guerra mondiale, proietta su dimensione universale – direbbe Stefano Caprio – lo stato di guerra permanente, «considerato l’unico strumento a disposizione della Russia per minare le fondamenta del predominio del nemico globale».

Nel 1918 un Patriarca si oppone a Lenin che vuole abolire la religione. Nel 2024 un Patriarca sostiene Putin in un assordante progetto imperiale. La missione “salvifica” della Russia di Putin si regge su basi ideologiche alquanto incerte, in buona parte alimentate dal risentimento per la perdita della grandezza sovietica e dalla sensazione tipica della mentalità russa di essere un “terzo polo” in ogni conflitto tra Oriente e Occidente, «una caratteristica genetica del popolo eurasiatico, che non riesce mai a trovare una definizione esaustiva della propria identità». Viviamo da tempo un ritorno drammatico della frattura in seno all’Europa fra il suo Est e il suo Ovest. Alcuni anni fa pochissimi avrebbero ipotizzato che la polarizzazione tra la Russia, e più in generale l’Asia, e l’Unione europea e gli Stati Uniti si sarebbe acuita e concretizzata lungo l’antica faglia, quasi dimenticata, che delimitava le due tradizioni storiche europee, quella latina occidentale e quella post- bizantina. In questa missione “salvifica” per Putin diventa fondamentale il ricorso alla giustificazione religiosa delle proprie pretese, alimentato dalla spettacolare “rinascita religiosa” che ha riportato in auge l’Ortodossia del Patriarcato di Mosca, un fenomeno senza precedenti nella storia universale: dalla cancellazione ateista della religione, alla riproposizione di una religione istitutiva dello Stato.

Dietro la geopolitica, la storia è necessaria per capire come si giunge ai confini tra Est e Ovest? Che cosa sta succedendo? C’è l’Est, c’è l’Ovest. E c’è un’Europa di mezzo in cui ci sono regioni contese tra diversi stati, nel passato e nel presente. Potremmo dire – come sostiene Egidio Ivetic – una fascia che passa in mezzo al continente, dall’Adriatico e dall’Egeo fino al Baltico. È una lunga faglia, in cui di volta in volta i vari Est e i vari Ovest hanno disputato le reciproche aree di pertinenza nel continente. Rimane problematico il contesto dei paesi che si trovano a ridosso della Russia, che furono repubbliche dell’Unione Sovietica o satelliti sovietici e che stanno di qua e di là del confine dell’Unione europea e della NATO. Si tratta di una zona di contatto in cui la Russia ha collocato dal Seicento a oggi le proprie frontiere verso l’Occidente. Ed è qui che l’Occidente cerca il suo confine definitivo.

Il volume di Codevilla ripercorre il confronto tra le due ideologie opposte, quella atea e quella religiosa, una delle chiavi più significative per rileggere la storia recente della Russia, ritrovando anche il nesso con le versioni precedenti della Rus’ di Kiev, della Santa Moscovia medievale e dell’impero zarista nelle sue diverse varianti. Non pochi ritengono che oggi i bezbožniki (i “senza Dio”, gli atei militanti) seguaci di Lenin non sono così tanto differenti dai pravoslavnye, gli “ortodossi” fedeli a Putin, nel tentativo di veicolare, anche con la forza, un “credo” russo al mondo intero, sia in versione negativa che in quella trionfante dal punto di vista ecclesiastico. Secondo Putin e i suoi “teologi”, la versione religiosa e quella anti-religiosa coincidono in un fattore di fondo: la Russia esiste per riunire il mondo, sia attraverso la “rivoluzione universale”, sia oggi nella nuova “guerra santa”.

Il tema centrale della “sinfonia” di Chiesa e Stato, di eredita bizantina, che tanto ha caratterizzato la storia russa, presuppone in realtà la parità dei due principi “istitutivi”, sostenendosi a vicenda nei rispettivi campi di competenza. La Chiesa offre la superiorità dei suoi dei principi morali e religiosi. Lo Stato assicura le leggi e l’organizzazione sociale, difendendo la Chiesa da cui prende ispirazione. Il sistema- come dimostra Codevilla – in realtà non ha mai funzionato in modo efficace, né ai tempi

dell’impero bizantino, né nelle varianti successive dell’impero russo e dell’impero ottomano, o nelle Chiese di Stato degli ultimi due secoli. In genere lo Stato assoggetta la Chiesa alle proprie necessità, come accaduto nel millennio dell’impero di Costantinopoli, con i sovietici, in cui il cristianesimo patriarcale resta in vita in quanto vassallo dell’ideologia ufficiale. Tuttavia in Russia, nei tre secoli precedenti alla rivoluzione, l’alternanza delle rispettive influenze ha portato in alcuni casi a una prevaricazione patriarcale della funzione monarchica civile. Come nel caso del patriarca Filaret, fondatore della dinastia dei Romanov a inizio Seicento, e del suo successore Nikon (Minin), che a metà del secolo pretese di imporsi sullo zar Aleksej, salvo poi essere deposto ed esiliato.

L’attuale Patriarca di Mosca, battezzato alla nascita a Leningrado come Vladimir il 20 novembre 1946, condivide con il presidente Putin il nome, la città di nascita e il compito di guidare la Russia

nelle difficoltà del terzo millennio. Si tratta di un uomo di ottimi studi e grandi capacità comunicative (da anni è perennemente presente sugli schermi televisivi). Consacrato come il primo tele-predicatore della nuova Russia post-comunista, nella sua carriera ecclesiastica si condensano tutte le vicende della Chiesa ortodossa in Russia nell’ultimo mezzo secolo. Tantissimo è stato scritto sulla scelta dei vertici della Chiesa ortodossa russa e sulla loro compromissione con il regime sovietico. L’obbligo di collaborazione con il KGB e gli organi statali, la propaganda filosovietica svolta in ogni assise internazionale, erano il pane quotidiano di quella generazione di ecclesiastici, che avrebbe poi dovuto gestire il passaggio alla Russia post-sovietica. Di quel gruppo Kirill era l’esponente più giovane e brillante. Kirill fu il primo catalizzatore del “risentimento” russo, il rancore verso gli occidentali che avevano tolto alla Russia il suo ruolo di superpotenza politica e anche ecclesiastica, successivamente rappresentato in maniera convinta dal presidente Putin. Prima di divenire patriarca, Kirill si assunse tutto il peso della rappresentanza pubblica e della gestione dei rapporti politici interni ed esterni, in qualità di capo del Dipartimento per le Relazioni Estere del Patriarcato, una sorta di Segreteria di Stato collocata nel monastero di San Daniele, restaurato nel 1983 come regalo di Brežnev alla Chiesa russa, un anticipo della rinascita religiosa degli anni successivi. Attraverso il suo impegno nei campi della Spiritualità, dell’educazione e della politica, la Chiesa ha cercato di rafforzare la sua influenza nella società russa, anche per ridare fiato all’anima di un popolo messo alla prova dai grandi cambiamenti dell’ultimo secolo. La Chiesa russa di Kirill ha dettato di fatto il programma politico-ideologico alla Russia del nuovo presidente Putin. Il programma è stato realizzato con forte entusiasmo, fino alla versione bellica iniziata con gli scontri in Georgia del 2008-2009, una specie di “test preventivo” della successiva guerra in Ucraina. Tuttavia, il putinismo d’assalto è stato digerito a fatica dallo stesso Kirill, tanto che al momento dell’annessione della Crimea nel 2014 non si presentò polemicamente al trionfo di Putin al Cremlino. Invece, con l’invasione dell’Ucraina nel 2022 anche il patriarca ha pronunciato la solenne giustificazione della “guerra santa” per difendere i veri credenti dall’invasione occidentale, intenzionata a cancellare i “valori tradizionali, morali e spirituali” della Russia”. Pertanto, il patriarca di Mosca Kirill, insieme ad alcuni vescovi, come il metropolita “degli interni” Tichon, gia padre spirituale di Putin e oggi metropolita della Crimea, hanno ispirato l’ideologia supernazionalista della sobornost, l’unificazione russa dei popoli secondo i sogni slavofili dell’Ottocento. Come non rievocare uno dei profeti dello slavofilismo ottocentesco, lo scrittore Fëdor Dostoevskij, che oltre ai famosi romanzi scriveva anche articoli di guerra e di politica, sognando l’affermazione della Russia nel mondo. In uno dei suoi taccuini del 1876, mentre Musorgskij componeva le sue sinfonie, egli scriveva parlando delle guerre di allora, come se stesse anticipando i drammi di oggi: «L’umanità non può vivere senza una grande idea. L’idea che verranno scoperti tali mezzi di distruzione che sarà impossibile fare la guerra. Sciocchezze. In guerra non si odia, bensì si ama addirittura il nemico. Non c’è motivo di odiarlo. Si rispetta il nemico. S’incontrano e fanno amicizia. Non si è affatto assetati di sangue, ma anzitutto si sacrifica il proprio sangue. E cosi essi sacrificano il loro sangue. Il mondo riprende sempre più a vivere, a vivere più vivacemente dopo una guerra».

Per Putin e Kirill la Russia esiste solo se unisce e amministra tutti coloro che fanno parte del Mondo Russo. La Russia esiste solo se raduna attorno a Mosca tutti i popoli che ritiene fratelli, La Russia, in definitiva, esiste solo come impero. Sono i tratti culturali frequentemente utilizzati oggi in Russia, evidenti nell’idea del Russkij mir temi cari al sovranismo, all’imperialismo laico e a quello religioso. La dottrina del Mondo russo – ha spiegato Andrea Tarabbia – ha come obiettivo quello di preservare l’influenza della Federazione Russa sul territorio dell’ex Unione Sovietica dopo il suo inglorioso crollo. Gli ideologi del Russkij mir, in particolare all’interno del Patriarcato di Mosca, non hanno mai nascosto il fatto che questa dottrina dovrebbe promuovere l’irredentismo russo, cioè il graduale instaurarsi del controllo politico russo sui territori che prima facevano parte dell’Unione Sovietica o anche dell’impero russo. Secondo il Patriarca, «il Mondo russo è l’unico spazio di civiltà che abbraccia territori nei quali la cultura russa ha storicamente avuto un impatto significativo. Per questo ha più volte affermato di considerare i moderni russi, ucraini e bielorussi come un popolo, il popolo del Russkij mir».

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