PORDENONE. Arrivano anche Pordenone le email truffa, su carta intestata del ministero dell’Interno, che accusano i malcapitati di pedofilia, molestia sessuale e di essere frequentatori di siti pedopornografici.
Ma non è tutto: oltre alle accuse c’è anche la minaccia di arresto se le (presunte) azioni commesse non vengono giustificate entro 72 ore. La falsa convocazione giudiziaria è piena di inesattezze e refusi, ma di fronte alla gravità delle accuse, soprattutto le persone più fragili e gli anziani si spaventano e rispondono fornendo dati personali ai pirati della rete, che poi non esitano a chiedere denaro.
La carta intestata è quella del ministero dell’Interno, riporta i loghi della Repubblica italiana, dell’Europol, dell’Interpol e della Polizia di Stato e comunica che c’è un procedimento legale nei propri confronti per le accuse infamanti di pornografia infantile, pedofilia, esibizionismo e cyberpornografia. E la firma in calce è quella altisonante di Lamberto Giannini.
Dall’Associazione nazionale per la difesa e l’orientamento dei consumatori di Pordenone arriva l’appello a prestare massima attenzione per non farsi ingannare. «Non rispondete per nessun motivo – spiega l’associazione –. Si tratta della “truffa dei finti atti giudiziari”, già nota in altre città italiane e appena approdata nelle caselle postali della provincia. Una massiccia campagna di phishing, finalizzata a estorcere dati personali, magari anche informazioni compromettenti per poi chiedere soldi in cambio del silenzio o per hackerare i mezzi informatici della vittima, attraverso un link».
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Polizia, carabinieri, procura, ma anche l’Inps e l’Agenzia delle entrate, prosegue l’Adoc, non contattano i cittadini via email ma utilizzano altri canali. E soprattutto non contrattano sulle sanzioni per evitare lo scandalo.
Analizzando una delle email finite sui tavoli dell’Adoc, inviata da un dominio che richiama l’indirizzo della polizia di stato (direzionepoliziadistat@andex.com), con tanto di numero di protocollo e la firma, come detto, di Lamberto Giannini, si colgono subito errori grossolani e refusi, oltre ad articoli del codice che non c’entrano con i reati contestati. «È anche vero che accuse di tale gravità – conclude l’associazione –, recapitate così all’improvviso possono causare grande stato di agitazione e indurre le persone più semplici, meno colte e soprattutto anziane a rispondere, inviando dati sensibili. Il rischio, quindi, è di finire sotto le grinfie dei truffatori, com’è successo in molti casi e, in particolare, a un imprenditore che ora vive in Cina, il quale, prima di sporgere denuncia, ha pagato ben 117mila euro a 12 persone, che da pochi mesi sono state messe sotto inchiesta dalla procura di Bergamo».