Solo chi non conosce la realtà genovese può stupirsi dell’adescamento di David Ermini a mezzo lucroso ingaggio in Spininvest, la holding della famiglia Spinelli, da parte di Sciu Aldo; il principale ufficiale pagatore della banda affaristica portata alla luce dal Totigate. Ultima di una serie di campagne acquisto, da parte dello schieramento business oriented al basilico, finalizzate ad assicurarsi servizi e fedeltà da parte di esponenti locali della nomenclatura all’opposizione: dal capogruppo piddino in consiglio comunale Angelo Terrile, un avvocato sbarellato senza alcuna competenza ai vertici dell’Ente Bacini del porto genovese con un emolumento di 73mila euro, al signore delle tessere congressuali Mauro Vianello, gratificato dall’ex Presidente dell’Autorità Portuale Paolo Signorini con una consulenza da 200mila euro.
Intrallazzi e liaisons dangereuses che il buon Ermini non poteva ignorare, visto che proprio lui aveva svolto il ruolo di commissario del partito ligure dal 2015 al 2017. Ma chi, già in quegli anni, fungeva da referente nazionale del verminaio all’ombra della lanterna, che non vedeva solo chi non voleva vederlo? Ma pensa te: l’ineffabile Andrea Orlando. Colui che ora qualche anima candida implora quale salvatore da sinistra dalla catastrofe di un mercimonio continuo (a cui qualche aiutino era giunto proprio da sinistra: vedi il background di Claudio Burlando). Ora il collezionista di poltrone Orlando è credibile come cavaliere sul bianco destriero che garantisce la redenzione ligure? Questo politico che conta qualcosa semplicemente in quanto politico. Nel senso in cui Paris Hilton era famosa per… essere famosa.
Il tizio che è transitato in ministeri importanti come Lavoro, Ambiente e Giustizia senza lasciare la minima traccia del proprio passaggio. L’unico sbuffo di espressività a mia memoria fu quando – responsabile Giustizia del Pd – si pronunciò a favore della separazione delle carriere dei magistrati (ossia il marchingegno per sottomettere al controllo politico il giudiziario). Allora scrivevo su il Fatto cartaceo e lo invitai a “smetterla di fotocopiare le carte dell’avvocato Ghedini” (l’allora avvocato di Berlusconi impegnato in una guerra per conto del suo boss contro la magistratura inquirente). Battuta che per una volta lo scosse dal torpore, tanto da replicarmi in maniera insultante: “a lei chi la paga?”. Fu doveroso rispondergli che lui ignorava la possibilità che qualcuno scrivesse soltanto in base ai propri convincimenti. Tesi sconvolgente per il ragazzotto fuori corso negli studi, cresciuto nei corridoi in penombra del Pci della Spezia. Esperto in una sola materia: le tecniche di sopravvivenza al potere. Che impongono di farsi terra bruciata attorno per impedire la crescita di possibili concorrenti. Il cosiddetto “Codice spezzino”, a mia memoria portato al successo da un predecessore di Orlando – il deputato repubblicano Giorgio Bogi – che riuscì a ritornare in Parlamento per ben otto volte senza che nessuno si accorgesse della sua presenza. Un record ottenuto con il metodo di impedire che nel collegio avvenisse la selezione di personale di ricambio; soprattutto nel capoluogo regionale; che si sarebbe rivelato un pericolo esiziale per chi si candidava in un bacino di preferenze periferiche, come quello della Liguria di Levante.
Dunque, una situazione che metteva e mette in ansia questi provincialotti ossessionati dalla loro massima aspirazione: evadere dal proprio ambiente asfittico per raggiungere le luci e gli incantamenti (veri o presunti) della capitale.
Difatti l’afasico Orlando, sulla scia del maestro Bogi decimatore di personale politico, si è distinto sistematicamente nel segare alternative nascenti. La tattica adottata è quella del rimando, in modo da prosciugare energie e opportunità. Chiedete a Ferruccio Sansa dello sfinimento con cui l’allora “uomo di Zingaretti” è riuscito a metterlo in pista nelle ultime elezioni regionali contro Toti, in corsa per il secondo mandato, solo qualche settimana prima delle votazioni. A campagna elettorale agli sgoccioli. E non è stato un caso isolato, ma una scelta sistemica per liberarsi di potenziali concorrenti.
Per cui è grottesca l’osservazione che non c’è tempo per inseguire candidature alternative, visto che ancora una volta è stato proprio Orlando ad averle spazzate via. Questo rentier posizionale della politica. Con una ulteriore controindicazione, se si ritiene che l’alternanza auspicata al vertice della Liguria non deve riguardare solo facce ma anche abiti morali: dietro la sintonia di Orlando con il Ghedini di cui si diceva, c’era anche un secondo riflesso condizionato che si palesava: la solidarietà tra membri della corporazione trasversale della politica politicante, pronta a fare fronte comune contro le pretese ispettive e i controlli di legalità dei giudici. I cui effetti perversamente consociativi hanno largamente influenzato sia il Totismo che il Burlandismo. Domani anche un eventuale Orlandismo faute de mieux?
L'articolo Toti-gate: sarà Andrea Orlando a redimere la Liguria disonorata? proviene da Il Fatto Quotidiano.