La scomunica per chi invoca la tradizione e le fughe in avanti su temi che dividono la società. I problemi economici del Vaticano e soprattutto, drammatica, l’emergenza delle chiese abbandonate dai fedeli. In questa situazione il Papa va ad aprire il Giubileo più difficile.
Il 24 dicembre, Francesco aprirà la Porta di San Pietro. Sarà il primo Giubileo del millennio - quello del 2000 cadde a cavallo delle due «ere» - uno dei più drammatici nella plurisecolare storia dell’Anno santo. E non tanto e non solo perché le opere previste a Roma sono in gravissimo ritardo, nell’imbarazzo del sindaco Pd Roberto Gualtieri, ma perché la cattolicità è in profonda crisi d’identità.
Sembrano tornati i tempi di Martin Lutero, quando il frate agostiniano affisse – così vuole la vulgata - le sue 95 tesi sul portone della cattedrale tedesca di Wittenberg accusando il Papa di vendere le indulgenze per finanziarie i propri lussi (anno del Signore 1517). Il Giubileo è l’occasione delle indulgenze... Fu la riforma, ma allora la parola aveva un significato contrario a quello odierno: significava tornare all’antica forma. Bergoglio ha di fronte a sé esattamente le stesse sfide d’inizio Cinquecento e non intende tornare all’antico. Semmai da gesuita qual è mette in campo una controriforma. Vuole cancellare del tutto la messa tridentina (in latino), fronteggia a colpi di scomunica le opposizioni in una Chiesa dove vi sono continue e potenti spinte scismatiche, ha l’ossessione dei soldi con le donazioni e le offerte dei fedeli in costante deperimento, e ha la necessità di fare marketing delle vocazioni in Asia e Africa abbandonando un’Europa ormai del tutto secolarizzata dove le parrocchie sono sempre più vuote.
Eppure il primo segnale di frattura profonda nella Chiesa gli è arrivato da sinistra: dai vescovi germanici che, guidati spiritualmente dal cardinale Karl Marx - che ha i cordoni della borsa vaticana -, vogliono la chiesa dei diritti: benedizione e ammissione ai sacramenti per le coppie omosessuali e le persone Lgbtq+, matrimonio per i ministri di culto, apertura del sacerdozio anche per le donne. Bergoglio ha tentennato poi ha fatto qualche concessione con la frettolosa benedizione degli omosessuali e l’allargamento del diaconato femminile. Perché tanta misericordiosa comprensione verso i vescovi teutonici? Perché dalla Germania arrivano molti soldi con buona pace del cardinale Gerhard Ludwig Müller, l’integerrimo Prefetto per la congregazione della fede e acerrimo oppositore della deriva «globalista e modernista» della chiesa nel suo Paese, che nel suo libro In buona fede racconta: «Francesco mi abbracciò sul sagrato della basilica dicendomi di avere piena fiducia in me. Il giorno seguente mi disse: hai terminato il tuo mandato. Grazie per il tuo lavoro. Non mi fornì alcun motivo».
Il motivo si è capito nelle settimane scorse quando il teologo del Papa, cardinale Victor Manuel Fernández, già vescovo argentino di La Plata, ha scomunicato l’arcivescovo Carlo Maria Viganò - ex nunzio apostolico negli Stati Uniti - colpevole di scisma. Fernández incarna perfettamente l’ex Sant’Uffizio, il fulcro della Controriforma. Ne sanno qualcosa le sedici suore clarisse di clausura di Belorado, vicino a Burgos, Spagna. Volevano comprarsi un monastero a Orduña, ma il Vaticano lo ha impedito. Da anni il dicastero per la vita consacrata - a capo c’è il cardinale brasiliano João Braz de Aviz - cerca di sfrattare le religiose ovunque per liberare gli immobili. Le clarisse spagnole si sono rifiutate ed è arrivata la scomunica. Hanno risposto con un manifesto di 60 pagine: «Il Papa non rappresenta la Chiesa, ci separiamo liberamente e volontariamente». Sembrano le parole di Carlo Maria Viganò che alla scomunica ha così replicato: «Considero le accuse contro di me un onore». Il cardinale sostiene che Bergoglio è fuori dalla Chiesa: dalla benedizione delle coppie gay, al divieto della messa in latino, l’ex nunzio apostolico non ha risparmiato alcuna critica al Papa. Lui oggi si considera al pari di Marcel Lefebvre, l’arcivescovo che fu sospeso a divinis per le sue posizioni tradizionaliste e che si spinse a ordinare suoi vescovi che papa Ratzinger 2009 reintegrò. Una conclusione che, anche sotto il pontificato di Bergoglio, sta provocando profondissimi contraccolpi.
Pochi giorni fa si è svolto a Indianapolis (Indiana, Stati Uniti), il Congresso eucaristico nazionale americano e John Henry Westen, direttore del sito ultracattolico Lifesitenews ha organizzato un evento alternativo con la messa in latino. Viganò nel suo messaggio ha scritto: «Il sinedrio romano che si presenta come supremo tribunale della Chiesa mi ha dichiarato scismatico e scomunicato. Questa decisione autoritaria ha reso ancora una volta evidente l’estraneità della chiesa bergogliana alla Chiesa di Cristo, di cui usurpa l’autorità per distruggerla intenzionalmente».
Al di là delle questioni teologiche per Bergoglio alienarsi la chiesa americana è un bel problema: dagli Usa arriva il 13,6 per cento di tutte le donazioni. Ma è un grattacapo anche in Italia. A favore di Viganò c’è una mobilitazione fortissima. Ne dà conto Aldo Maria Valli - uno dei più profondi conoscitori della Chiesa - che sul suo sito Duc in altum ha ospitato migliaia di prese di posizione a favore del vescovo scomunicato. Se la condanna del cardinale Giovanni Angelo Becciu per il noto scandalo del palazzo di Londra ha turbato l’episcopato italiano, l’affare Viganò rischia di incidere ancora di più.
Aldo Maria Valli scrive: «Sappiamo che papa Bergoglio si è intestardito con l’idea del chiacchiericcio. Incontrando i sacerdoti della diocesi di Roma ha aggiunto che “il chiacchiericcio è una cosa da donne”, concetto che non meriterebbe neanche di essere preso in considerazione. Dopo la “frociaggine”, ecco un’altra intemerata. Destinatari della prima sono stati i vescovi italiani, della seconda i preti di Roma. Bergoglio in due occasioni, utilizzando quel linguaggio, ha voluto manifestare tutto il disprezzo che ha per l’episcopato del nostro Paese e per il clero della Capitale». Che a Santa Marta l’italiano non sia la lingua più gradita è evidente. Perciò il Papa incoraggia il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale di Bologna Matteo Maria Zuppi, a tenere alta la polemica con il governo di Giorgia Meloni: dall’autonomia regionale differenziata al premierato passando per l’immigrazione. Bergoglio spinge la chiesa a fare politica e Zuppi raccoglie l’invito.
Ma la Cei è comunque preoccupata perché gli italiani hanno voltato le spalle alla Chiesa. L’ultima rilevazione fatta dal quindicinale Il Regno e presentata al monastero benedettino di Camaldoli - autori Paolo Segatti e Arturo Parisi - attesta che solo il 18 per cento degli italiani va a messa e che tra gli under 30 sono meno del 10. Però dal punto di vista politico Zuppi si sbaglia: è Forza Italia il partito con più praticanti (il 33 per cento dei suoi elettori), seguita da Fratelli d’Italia (22 per cento) e poi dal Pd (19). Sostiene Igor Sibaldi, traduttore del Vangelo e della Genesi: «Questo Papa non parla mai di teologia, è una sorta di opinionista sulle cose del mondo. Fa critiche di stampo sociale che chiunque trova anche altrove». È una Chiesa globalista. L’ultimo Annuario pontificio certifica: in Africa c’è un aumento del 3 per cento dei cattolici passati da 265 a 273 milioni, in Europa la situazione è di stabilità (i cattolici ammontano a 286 milioni), mentre in America e in Asia la crescita è importante (più 0,9 e più 0,6 per cento)». Sarà per questo che il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin concentra gli sforzi in quei Paesi e sulla crisi tanto in Medio Oriente quanto in Ucraina non ha ottenuto risultato alcuno. Questa è la Chiesa di Jorge Mario Bergoglio che vive l’approccio al Giubileo come una sorta di via Crucis, come una passione fatta di divisioni intestine.
La più feroce è quella che vuole spingere il Papa a dichiarare fuorilegge, prima di aprire la Porta santa, la messa in latino. Tre anni fa Bergoglio aveva firmato il motu proprio Traditionis custodes che vieta la liturgia tridentina annullando il provvedimento di Ratzinger Summorum Pontificum che invece liberalizzava l’antico rito. Ora il dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti diretto dal cardinale britannico Arthur Roche col supporto di monsignor Vittorio Francesco Viola vuole entro il Giubileo il divieto assoluto. Centinaia di parrocchie italiane si sono schierate contro: nelle chiese aderenti all’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote - una ventina in tutta Italia, la casa generalizia è a Gricigliano arcidiocesi di Firenze - si celebra in latino col Papa che sta nicchiando sul divieto assoluto. Viene allora in mente una lezione di teologia tenuta ben 55 anni fa dall’allora professor monsignore Joseph Ratzinger: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire quasi dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti».