foto da Quotidiani locali
Il tossicologico è l’esame che potrebbe dare una svolta alle indagini per fare luce sulla morte di Alex Marangon. Verrà eseguito nei prossimi giorni dal medico legale incaricato dalla Procura di Treviso, il dottor Alberto Furlanetto.
Al suo fianco sarà presente un consulente di fiducia, eletto dalla famiglia Marangon. Si tratta di Donata Favretto, tossicologa forense dell’università di Padova, già presidente del Gruppo tossicologi forensi italiani e alla guida della Society of hair testing. Una luminare.
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Professoressa, il risultato del tossicologico può spostare le indagini?
«L’esame potrebbe dare un contributo, non spostare le indagini. Proprio perché le sostanze di quel tipo sono vietate dal testo unico sulle sostanze psicotrope, somministrarle ad altri anche a titolo gratuito, cederle o passarle di mano potrebbe prefigurare una sorta di reato. Da qui potranno esserci diversi sviluppi possibili. Se si prova che sono state somministrate sostanze stupefacenti, allora bisognerà eseguire ulteriori accertamenti, ma saranno il magistrato o le forze dell’ordine a stabilirlo».
Tra quanto tempo avremo i risultati?
«Sarà lunga, perché una cosa è sapere cosa si cerca, ma, nel caso in oggetto, non si sa cosa si cerca e non si sa cosa ci fosse in quella cosa che è stata somministrata e bevuta quella sera: si parla di ayahuasca, si ipotizzano delle possibili componenti dell’ayahuasca, ma devi sapere ad ampio spettro che cosa di xenobiotico, cioè di diverso, c’è nel cadavere e poi miri la tua analisi. Prima si esegue uno screening generale e poi si eseguono analisi quantitative su quello che c’è. Bisogna vedere il tipo di materiale raccolto: sangue, urina o umor vitreo. C’è una forte incertezza».
In che senso?
«Non sono analisi mirate, ma c’è forte incertezza su cosa possa essere stato contenuto in quella pozione. È come una ricetta e ognuno ha la sua. Per fare l’ayahuasca, secondo la ricetta dell’Amazzonia, ci vogliono determinati principi attivi, ma non conosciamo cosa sia stato fornito quella sera. Non era un farmaco, ma un decotto di più componenti e si possono usare diverse piante e in quantità diverse».
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Quale componente provocherebbe le allucinazioni?
«La dimetiltriptamina è una di quelle e si trova nella Psychotria viridis, una pianta classicamente utilizzata in Amazzonia. E poi ci sono altre componenti alcaloidi, presenti in alcune liane o piante, che servono a far durare di più l’attività dell’allucinogeno, che da solo ha un effetto rapido, perché i sistemi enzimatici lo metabolizzano e lo ossidano. L’alcaloide inibisce gli enzimi metabolizzanti e quindi la durata dell’allucinogeno è più lunga. L’esame permette di capire cosa è stato ingerito».
Perché è una sostanza pericolosa?
«Ha degli effetti collaterali, la potenziale pericolosità dell’ayahuasca è tutta da vedere. Ci sono alcuni report che parlano di decessi per intossicazione acuta, ma ci sono aspetti che possono essere deleteri, come la perdita di controllo. Solitamente in queste cerimonie c’è qualcuno di lucido che accompagna le persone che hanno assunto la pozione, vigilano affinché non si facciano del male durante le allucinazioni».
La famiglia ha chiesto alla Procura di eseguire l’esame del capello a tutti i partecipanti. Potrebbe dare risultati certi?
«Stabilisce la storia drogastica delle persone, se fanno uso cronico ripetuto o saltuario di sostanze. È un’analisi importante, ma da sola non può dire effettivamente se le persone sono intossicate. Lo possono dimostrare solo i fluidi biologici, è nel sangue che bisogna analizzare cosa c’è in quel momento».
