Le rette per ospiti non autosufficienti delle case di riposo sono a carico del Servizio sanitario nazionale e non dell’anziano. Bilanci delle case di riposo a rischio per i possibili effetti innescati da una sentenza della Cassazione rispetto al ricorso presentato nel 2003 dai familiari di un ospite di una Rsa di Mogliano.
Sentenza che pone a carico dello Stato il pagamento delle spese sanitarie per pazienti con problemi di salute particolari e che rischia di innescare un aumento esponenziale delle sospensioni dei pagamenti delle rette con conseguente richiesta di rimborso di quanto già versato. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di euro.
A spiegare cosa sta succedendo è il presidente di Uripa Veneto, Roberto Volpe, che ha già scritto ai ministeri competenti perché intervengano: il rischio è che lo Stato non riesca a pagare tutti i rimborsi che, a livello nazionale, sono pari ad almeno 4 miliardi l’anno. Una situazione che potrebbe generare contenziosi molto lunghi che si ripercuotono sulle strutture residenziali per il mancato incasso delle rette o dei rimborsi statali.
Volpe ricorda che la questione della compartecipazione alla spesa per gli ospiti non autosufficienti delle Rsa, vede tra le motivazioni il fatto che “le prestazioni socio-assistenziali di rilievo sanitario vanno ricondotte a quelle a carico del Ssn quando – in base a una valutazione – risulti che tenga conto della patologia in atto, del suo stadio al momento del ricovero e della sua prevedibile evoluzione futura, che esse siano necessarie per assicurare all’interessato la doverosa tutela del diritto alla salute, in uno con la tutela della sua dignità personale.
Si tratta in tali casi di prestazioni di natura sanitaria che non possono essere eseguite se non congiuntamente alle attività di natura socio – assistenziale. Non importa se la prevalenza delle prestazioni è sanitaria o socio-assistenziale, essendo anche queste a carico del Ssn, poiché strumentali a quelle sanitarie; dunque nessun contributo può essere posto a carico del paziente, in via contrattuale, per siffatte prestazioni che restano tutte a carico del Sistema sanitario nazionale”.
«Rimborsi per i quali gli enti devono attivarsi con ulteriori onerose azioni legali nei confronti delle Ulss, le quali resistono in giudizio disconoscendo l’istituto della manleva, costringendo così gli enti per lungo tempo a ingenti esposizioni finanziarie, fino a dover iscrivere queste somme in bilancio come perdite di esercizio», dice Volpe che auspica che la situazione venga responsabilmente presa in carico dal Governo e, non meno, dalle Regioni.
«Diversamente, considerando che per i circa 180 mila ospiti delle Rsa in Italia, che hanno patologie riconducibili a quanto definito dall’art. 3 del citato Dpcm 14/09/2001 e che sono in crescita esponenziale, sarà necessario disporre una somma annuale corrente a carico del bilancio dello Stato di non meno di 4 miliardi di euro, oltre a stimare quella necessaria per coprire le spese relative ai cinque anni passati su cui è certa l’azione di rivalsa che sarà attivata dai familiari e/o eredi”.
Nel Bellunese, ad oggi ancora nessun familiare ha deciso di interrompere il pagamento della retta rivendicando questo diritto.
Ma i direttori delle case di riposo sono preoccupati anche se alcuni di loro evidenziano che «non è un nostro problema, noi eroghiamo un servizio che ha dei costi che vanno sostenuti da qualcuno», precisa Arrigo Boito, che dirige le case di riposo di Longarone e di Val di Zoldo.
Per il direttore, infatti, «come dice giustamente l’assessore Lanzarin, che si è già mossa sul fronte governativo, la normativa merita una specifica rispetto all’applicazione dei Livelli essenziali di assistenza, ma non è certo materia che compete ai direttori generali delle aziende che erogano i servizi. Se qualcuno non vuole pagare, quindi, si apre un contenzioso, se vince il ricorrente, la fattura verrà intestata all’Ulss». Ma nel frattempo i soldi non vengono versati alla casa di riposo.